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Vital racconta l’amore dal punto di vista di Shinya Tsukamoto

“Tutti i tuoi felici, falsi ricordi:
che possibilità ho, io, contro tutto questo?”

In breve: non è certo uno dei migliori film del regista giapponese, oltre ad essere insolitamente lacrimoso e (a tratti) con scarso mordente. Adatto, forse, ai neofiti per avvicinarsi senza “traumi” al suo incredibile cinema (il regista è quello di Tetsuo).

Tsukamoto in “Vital” incentra la storia su due tematiche di fondo: da un lato la perdita della memoria che affligge il protagonista, e dell’altra l’ambigua valenza dei ricordi, che distorcono la realtà ed alienano l’individuo ma nei quali è quasi impossibile non perdersi e sognare.Un film concettualmente e stilisticamente molto valido, ma al tempo stesso affetto da una sorta di “pesantezza” di fondo: sembra quasi che il regista indulga su dettagli lacrimosi molto più del necessario, proponendo una storia totalmente priva di colpi di scena, e fin troppo concetrata sugli aspetti romantici tanto per (verrebbe quasi da dire) far presa facile sul pubblico.

Hiroshi, dopo un incidente stradale, perde completamente la memoria, dimenticandosi completamente della fidanzata che era in macchina con lui, e che è deceduta poco prima che si risvegliasse. Mentre cerca di ricostruire i propri ricordi ricomincia a seguire i corsi di medicina, ed inizia un corso sulla dissezione che, destino vuole, debba fare proprio sulla ex ragazza deceduta, Ryoko: quest’ultima aveva dato il consenso ad essere usata per la scienza, e viene riconosciuta dal protagonista mediante un visibile tatuaggio sul braccio. Nel frattempo il protagonista fa iniziare una vera e propria ossessione nei confronti del cadavere, che si sofferma a guardare per lunghe ore perdendosi in un sogno-allucinazione nel quale reincontra regolarmente Ryoko, isolandosi dai suoi colleghi e da una nuova ragazza che gli si propone inutilmente…

Si tratta di un film piuttosto atipico rispetto alla produzione del regista: non tanto per la presenza della tematica inerente gelosia ed amore (vissuti in modo ossessivo anche in Tetsuo e, in parte, in Haze), quanto per i toni struggenti che hanno reso questo film uno dei più apprezzati dal grande pubblico – quantomeno per chi ha avuto modo e voglia di vederlo. Questo, a mio parere, è legato alle dinamiche “televisive” del film stesso, dalla totale mancanza di dettagli macabri e da uno stile certamente di grande classe ma privato in modo molto radicale dell’estro artistico del regista, se non per alcune inquadrature molto insistite su alcuni dettagli.

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La cosa davvero strana, a questo punto, è che una scena ripetuta ed enigmatica come il tentato soffocamento reciproco tra Hiroshi e la sua spasimante Ikumi, la quale non si fa una ragione dell’ossessione del ragazzo, ed al tempo stesso è costretta a riconoscere che non puo’ essere gelosa di una defunta, si colloca in modo abbastanza inspiegabile rispetto all’intreccio: si tratta quindi di un elemento che, inserito in un altro qualsiasi film del regista, avrebbe fatto gridare allo scandalo, alle “seghe mentali” ed al tocco artistico da radical-chic. Orrore! Se invece si volessero scomodare quegli stessi concetti filosofici e concettuali che normalmente fanno inorridire i mainstreamer, allora si desume che la nuova amante di Hiroshi volesse morire assieme a lui per il fatto che sa bene che è l’unico modo per rimanergli vicino. Se poi consideriamo la danza di Ryoko (viene specificato che da viva non ha mai danzato), la quale assume una valenza simbolica che va necessariamente cercata al di là dello schermo… Pero’ qui si parla di amore, quindi va tutto bene e nessuno si pone alcun problema: se si fosse parlato di altra roba, sarebbe stato diverso.

Romanticoni! Uno dei film certamente più poetici del regista, nel quale escono fuori varie icone di fragilità umana.

 

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