Certe persone non possono scendere


In treno non posso fare a meno di notare i viaggiatori seduti vicino a me. In particolare quelli che, dopo pochi minuti che sono saliti, si mettono beatamente a dormire. Non fosse altro che li invidio: io, che a volte non riesco a prendere sonno neanche sul materasso di Giorgio Mastrota. Sul treno per me è impossibile immaginare di prendere sonno, mi serve un letto, rigido, largo, lungo, ma poi ho caldo, ora ho freddo, spengo la luce, chiudo gli occhi e aspetto. Niente. Mi giro e mi rigiro come una frittata, per rosolarmi meglio. Sarà mica il materasso? Finita questa passeggiata mentale mi chiedo come farà quello sconosciuto a dormire in posizione da contorsionista su un treno scomodo per definizione. Del resto del materasso puoi lamentarti sempre: se è troppo stretto non stai comodo, se è troppo largo tendi a prendere posizioni strane, se è troppo rigido fa bene alla schiena, se è troppo morbido ti abitui male. Quelli che preferiscono i materassi morbidi sono gli ultimi romantici, e io non sono romantico. Non più.

Quelli che dormono in treno salgono, sistemano la valigia nella cappelliera (quando ci entra), sgomitano a caso e poi prendono posto. Sbirciano il cellulare, si accomodano e diventan tutt’uno col sedile mentre il treno riparte. Chiudono gli occhi, benvenuti a bordo del treno, sogni d’oro. Che invidia! Poi si svegliano di soprassalto al primo movimento strano del treno, o più frequentemente per colpa di qualche passeggero che parla a voce troppo alta. Non siamo interessati a sapere quello che dici, non siamo a teatro! Ma quella dei chiacchieroni esibizionisti è una categoria di persone che abbiamo incontrato tutti, in treno: c’è gente che alza la voce come se fosse nel salotto di casa, in una di quelle domeniche pomeriggio in cui sei costretto, tuo malgrado, a trascorrere del tempo coi parenti che non sopporti. Totalmente incuranti di ciò che avviene oltre i trenta centimetri dal proprio naso, i chiacchieroni da treno parlano, fanno battute, ridono per cose che possono capire solo tre persone sulla faccia del pianeta. E quando viaggiano tra amici, soprattutto, ci tengono a farcelo sapere: “Ehi, siamo un gruppo di amiciiii, stiamo facendo un viaggio insiemeeee, non siete contenti per noiiii? Quanto siete contentii?”.

A questa domanda – che presumo implicita – mi viene da rispondere sì, sono sinceramente contento per voi. È bello viaggiare con gli amici. Specie quando pensi che i tuoi, quelli storici, sono dispersi per mezza Europa, non facciamo reunion da secoli e chi li sente più. Forse in futuro ci incontreremo per caso in qualche posto impensabile, e vai di stereotipi come anche tu qui, da quanto tempo, che fine avevi fatto. Ma quando sei in viaggio vale una sorta di neutralità del treno, la treneutralità: è un principio che garantisce tu possa parlare con chiunque viaggi con te, a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Potresti anche chiedere ai casinari di farla finita, ad esempio. In fondo queste situazioni mi piacciono, perché casomai ci fosse una persona seduta vicino a me che si stia irritando quanto me per quel chiasso, vuol dire che abbiamo qualcosa in comune. Nella vita di ogni giorno non è così semplice capirlo. Quando sei in treno e vale il principio di treneutralità, non è così. Tutto diventa una scusa per scambiare due chiacchiere, conoscere qualcuno, aprirsi a un mondo differente. Veramente assurdo, dice lo sconosciuto tra i denti, poi ti scappa da ridere per il kitsch di quelle persone e per la signora che si è seduta dando una vistosa schienata sul proprio sedile, sguardo di intesa tra sconosciuti, ma ti trattieni. Quel ridere soffocato diventa il tuo ponte magico di collegamento: certo, è più immaginario del ponte sullo Stretto, ma è almeno altrettanto efficace.

Che fortuna incontrarsi così! Avreste potuto conoscervi in discoteca perdendovi trenta secondi dopo, spintonarvi ad un concerto senza ritrovarvi mai più, sorridervi reciprocamente in pizzeria o al pranzo di fine anno, durante circostanze talmente burocratizzate e ordinarie che non stimolano più alcun istinto di socializzazione a nessuno. Lo stesso sconosciuto avrebbe potuto tagliarti la strada con la macchina, lo avresti pure insultato, invece qui sul treno siamo al sicuro: ci troviamo in uno dei mezzi più social mai inventati. Il treno è un non luogo, una località artificiale in cui passiamo tutti, almeno una volta nella vita. Perché se esistono quelli che hanno paura dell’aereo quelli che temono il treno sono sicuramente di meno, quindi il mezzo è più frequentato. Altro che pub, bar e locali: viaggiate in treno! Sul treno tutti parlano potenzialmente con gli altri, tutti si possono scambiare occhiate di intesa, tutti – o quasi – possono interagire con gli altri. E non serve essere iscritti alla piattaforma per farlo. Se non passa il controllore, non serve neanche avere il biglietto, giusto? Non abbiamo tempo, voglia e modo di provarci, ma l’opportunità esiste. Preferiamo le discoteche e i concerti burocratizzati, nei quali conoscere qualcuno di nuovo è più l’eccezione che la regola, specie se stai entrando nella zona rossa: la zona boomer. Alcuni diventano boomer, non tutti beninteso; altri già ci nascono.

Perché se è vero sul teno che puoi incontrare persone totalmente diverse da te, altre volte puoi conoscere persone che meritano un po’ più di attenzione, e questo perché mostrano sensibilità, simpatia, paura della solitudine, fragilità. E parlandoci senti le loro storie, quelle che ti raccontano: che tanto i politici sono tutti uguali, oppure che litigano spesso sul lavoro, che hanno dei figli (e che forse non li volevano sul serio), che provano dispiacere perché stanno andando via – stanno letteralmente scappando dal posto in cui sono nati. Ma trovi anche – senza ipocrisia – sprazzi di felicità per essere riusciti a licenziarsi, ad andarsene, a divorziare, a fare il lavoro che volevano perché per loro era l’unico modo per sopravvivere. Sul treno puoi parlare di quello che ti pare, nessuno ti giudica se lo fai (a meno che non salti addosso alla gente e non parli troppo ad alta voce, ovviamente). Nessuno conosce nessuno, ci si conosce nel mentre, nella pura treneutralità. Nessuno conosce nessuno, e va bene così perché potrà farlo di lì a poco. Nessuno conosce nessuno, ma non è obbligato a farlo. Nessuno conosce nessuno, e va bene così. Nessuno conosce nessuno, a parte quel gruppo di coglioni che deve farsi sentire da tutti.

Sul treno siamo potenzialmente amici proprio per questo, perché nessuno conosce nessuno, e va benissimo così. Godiamoci questo potenziale che – credetemi – non troveremo in nessun altro posto. Tra sconosciuti in treno si può anche discutere, ovviamente – non è che si debba per forza andare d’accordo. E così arriva la signora che si ostina a volersi sedere ad un posto non suo, ti punta, quello è il suo posto, vorrebbe che tu ti alzassi. Confesso che è il mio incubo ricorrente: sono seduto su un treno senza neanche un posto libero, arriva un passeggero che ha il mio stesso posto. Non sappiamo come sia successo, forse un errore di sistema. Così la signora  mi chiede di alzarmi, a quel punto sono io ad andare in errore di sistema, poi chiedo di chiamare il controllore per capire cosa sia successo – e a quel punto, regolarmente, mi sveglio di soprassalto. Cosa avrei dovuto fare? In questi casi serve un po’ di umanità reciproca, per forza. Perché sul treno siamo tutti più umani, forse, sia pure nella nostra indifferenza congenita, o – se preferite – nella quasi totale incapacità di socializzare senza la stampella di un amico chiacchierone.

Quando incontri per caso (o inizi a conoscere) un affabile sconosciuto sul treno, inizi a parlarci, ti leghi a lui; e quando arriva il momento di separarvi ti dispiace, è inevitabile, è inevitabile quanto come la gelosia verso chi amiamo. Mentre siete assieme per quei minuti – a volte vorresti avere qualche minuto extra – finisci per raccontargli storie che non hai mai raccontato a nessuno, perché tanto lui non sa chi sei, tu non sai chi è. E tutto questo ricorda gli scambi tra pari, quelli autentici: gli amici di una vita che possono dirsi tutto senza censura, gli alcolizzati che parlano tra loro ad un bancone qualsiasi; i colleghi che si ignorano – e poi solidarizzano in odio al capo che fa lo stronzo con tutti; i clienti che vanno per la prima volta da una escort, alla quale si avvicineranno lentamente tra imbarazzi e rimorsi.

Ricordo che una volta sono seriamente rimasto senza posto per via di un errore di prenotazione: e parlo di treno, non di escort. Il mio vagone era fuori servizio, il treno era già partito e – invitato dalla concitazione di un controllore identico a Tom Hanks in Polar Express – mi sono fatto quasi cinquecento km seduto malamente nei pressi di un finestrino. Fissavo i paesaggi che cambiavano, annoiandomi come raramente mi è capitato. Avrei voluto una birra, in quel momento, ma non ne avevano. Il frigo era rotto, o forse non ne avevano mai avuto, che importa. I viaggi da solo in treno possono fare emergere mostri che sono rimasti nascosti per anni. Ma lo spaccato sociale che ti offrono gli sconosciuti al contrario è straordinario, unico nel suo genere. Sottovalutato dai più.

Poi arrivi alla fermata, ti volti a guardare lo sconosciuto compagno di viaggio, vi salutate, sorridete, e ognuno per la sua strada. C’è nostalgia malcelata, non può mancarti sul serio. Intimità tra sconosciuti, di breve durata ma intensa. A meno che non vi siate scambiati i contatti non lo incontrerete più, e magari proponi chattiamo qualche volta. In genere (salvo fortunatissime eccezioni) quella persona non vi risponderà, se gli scriverete. È una questione di contesto. Il treno gode della treneutralità, è un’altra dimensione rispetto alla vita di ogni giorno. Ogni incontro di ogni viaggio sarà sempre unico e irripetibile, con vari punti di snodo irreversibili per definizione, miriadi di combinazioni tra persone diverse che si incontreranno in decine di migliaia di modi. Incontri belli, o meno belli, comunque non preventivati, sorprendenti come le improvvisazioni di Frank Zappa. Lo sconosciuto da cui prendi il contatto non ti potrà rispondere: il suo tempo è finito, il treno in quel momento è stata una irripetibile occasione e non si può andare oltre quella socializzazione rapida, in cui tutti sono accomunati dal fatto di aver pagato un biglietto e di stare facendo un viaggio che forse sarà più lungo di quello che avevate immaginato.

Perché in treno ognuno va per la propria strada, sta già pensando a chi troverà a destinazione, o magari sa che a destinazione non c’è nessuno in particolare ad aspettarl. Forse ogni ritardo del treno diventa tempo recuperato, ripristinato dai minuti trascorsi nostro malgrado bloccati nel traffico, a bordo di metropolitane e autobus sempre troppo pieni. Perché in fondo la gente che conosci in treno è la più indicativa di come stia girando il mondo: di quanto sia ancora possibile estendersi, comunicare, socializzare, ma anche di quanto si possa tollerare l’altro, parlarci, diventarci amico, innamorarsene o semplicemente ripensarci in seguito, quando entrambi siete arrivati a destinazione – e il viaggio continua, ci ripensi, fissi distrattamente il posto vuoto di un treno che inesorabile si sta svuotando, fermata dopo fermata. Abbiamo parlato per tutto il viaggio, poi dovevo scendere, ma tu dormivi. Mancavano pochi minuti alla mia stazione, ho preso carta e penna e ho scritto il mio nome e il mio numero su un foglio, poi l’ho depositato nella sacca del sedile di fronte a te. Così al risveglio lo avresti visto, devo andare, non volevo svegliarti. Non mi hai mai richiamato, esattamente come previsto dalla teoria della treneutralità. Ho avuto il dubbio di aver scritto male il numero; o magari è la prova che certe persone non possono scendere.

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