Film firmato da Umberto Lenzi nel 1976, lanciò il regista come specialista del genere poliziesco all’italiana o poliziottesco, e propose la rivalità mitica tra Tanzi/Merli ed Il Gobbo/Milian – che dallo schermo si trasferì, a quanto pare, anche nella realtà. L’opera fu sceneggiata dal grande Dardano Sacchetti (che scrisse anche la storia di Quella villa in fondo al parco, I guerrieri dell’anno 2072, la cosiddetta trilogia della morte di Fulci e moltissime altre opere).
La storia segue il canovaccio romanzato dei film di questo tipo di quel periodo: Roma si trasforma in un covo di criminalità organizzata, tra bische e caccia di criminali, in cui il commissario Tanzi fronteggia contemporanemente delinquenza di strada, rapine ed istituzioni che sembrano volerlo limitare ad ogni costo. Sulle tracce di un certo Savelli per una rapina in banca, viene declassato dal vicequestore della città a causa dei metodi maneschi utilizzati contro il cognato del criminale, Il Gobbo.
“Cosa fa tuo padre?
Er carcerato
E cosa ha fatto?
Ha ammazzato mi’ madre”
Nel frattempo viene rapita e malmenata la mogliedi Tanzi, per ripicca per quanto successo al Gobbo, con cui si codifica una rivalità spietata (che a quanto pare si riflettè anche nel pestaggio autentico tra i due alla fine del film).
“Saprebbe riconoscerli?” (gli stupratori, ndr)
“uno di loro… aveva la faccia da bambino viziato”
Dopo aver incrociato casualmente uno stupro di gruppo appena avvenuto, rintraccia nei responsabili 5 ragazzi “perbene” del circolo giovanile monarchico – e questa parte del film, con annesso pestaggio e violenze da parte del manesco commissario, non viene mai citata quando si parla della presunta reazionarietà di questo film. Alla fine Tanzi, dopo un pestaggio solo contro tutti i 5 teppisti, finisce per ucciderne uno per non essere sopraffatto a sua volta. “Lei avrebbe agito in modo diverso“, afferma il questore con l’amico-collega del commissario lamentando la brutalità dei metodi di Tanzi: “e probabilmente ci avrei rimesso la pelle” è la risposta ironica del collaboratore , la quale se in parte conferma un’inevitabile dose di machismo, dall’altra sottolinea l’intreccio come una cinica lotta per la sopravvivenza homo homini lupus.
Sulle tracce di uno spacciatore (il gelido Rassimov che regala un macabro scenario a base di eroina), riesce quasi a farsi dare indicazioni sul caso che segue dall’inizio, ma sul più bello l’uomo viene ucciso giusto dal Gobbo. Poco dopo con i suoi metodi aggressivi e non convenzionali Tanzi finalmente sventa una rapina infilandosi nel tubo dell’aria condizionata assieme ad un tiratore scelto.
Il Gobbo torna in azione per le strade di Roma, seminando il panico dopo aver rubato un’ambulanza con due persone a bordo: a quel punto il cerchio si chiude perchè Tanzi, a partire da un’autodemolizione a cui aveva chiesto informazioni durante le indagini, risale al covo della banda, nella quale trova gli ultimi due criminali. Nella drammatica scena finale, Milian prende letteralmente a calci il commissario, uccide a tradimento un suo collaboratore e, poco dopo, finisce ucciso a sua volta terminando crudelmente il film.
Un cult cinico ed imperdibile per gli amanti di Lenzi e del poliziesco all’italiana.
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