La ragazza con la pistola: Assunta contro la società arcaica


Disonorata dal compaesano Vincenzo Maccaluso dopo un rocambolesco sequestro, Assunta Patanè si mette alla ricerca dell’uomo, raggiungendolo fino in Scozia.

Diretto da Mario Monicelli e scritto da Luigi Magni e Rodolfo Sanego, La ragazza con la pistola venne girato tra Sciacca, Londra, Brighton (in realtà Ancona, dove in seguito venne realizzato un murales per omaggiare l’attrice) e Sheffield, e rientra a pieno titolo tra i film iconici della commedia grottesca all’italiana. La fille au pistolet non è solo la storia di una vendetta, come potrebbe sembrare a ragion veduta sui primi fotogrammi: miscela più generi e più piani narrativi, intervallando la ricerca di una confusa protagonista, intontita da convenzioni arcaiche (nella celebre sequenza iniziale, uomini e donne compaesane possono ballare soltanto in gruppi separati, spiandosi segretamente tra di loro).

Il personaggio della Vitti ovviamente è al centro del film, tanto che venne cucito letteralmente su misura dopo che era stata apprezzata ne La notte, di tutt’altri toni per la verità – e dove l’attrice aveva dato sfoggio di una sensualità borghese, capricciosa e contraddittoria. Parte di quelle caratteristiche sopravvivono, a ben vedere, in Assunta, questa volta di estrazione popolare e proveniente da un retrogrado paesino siciliano. Assunta lotta, ad ogni respiro, contro la pressione sociale del paese che chiede un tributo di sangue per l’onta del “disonore”, ma deve fare i conti con le proprie insicurezze e con il fatto che, a livello inconscio, sente sempre più la necessità di mandare in crisi quel sistema di valori. Monicelli rappresenta il suo lacerante conflitto interiore ricorrendo anche al surrealismo, nello specifico mostrando le mura del paesello attorniate dai paesani che evocano vergogna sulla povera Assunta, colpevole solo di trovarsi in un contesto tossico quanto retrogrado. Ambiente che, del resto, le provoca un effetto grottesco, rendendola un personaggio divertente, contraddittorio e con cui empatizzare, tanto da essere l’autentico punto di forza del film.

Prolungando la propria permanenza all’estero, peraltro, Assunta si avventura sulle strade dell’ignoto, visitando un altro paese senza conoscere neanche la lingua – adeguandosi un po’ per volta, tra mille singhiozzi e rigurgiti, faticando ad accettare le “modernità” del contesto in cui si trova (divorzio, libertà individuale, sessualità disinvolta). Perseguitata dalle convinzioni sedimentate del paese in cui è nata, nonostante siano sempre state ingiuste e penalizzanti per lei stessa, attua l’unico cambiamento possibile, cioè quello (puro, semplice quanto realistico) di cambiare idea. Non ci troviamo, insomma, sui toni nichilisti del Monicelli degli ultimi film (Parenti serpenti, per intenderci), e siamo altresì lontani dagli incubi sessuofobici di Repulsione o dal dramma suicidario di Io la conoscevo bene: Assunta diventa l’eroina del cambiamento, anche perchè non ha un problema con la propria personalità bensì, al massimo, il riflesso di una mentalità arcaica e penalizzante. La stessa che la faceva sentire di essere “moralmente” obbligata ad uccidere Vincenzo, ma anche un’altra (più subdola) per cui lo status quo – in cui la donna deve opporre resistenza al rapporto, mentre l’uomo “si comporta da uomo” – non può essere cambiato nè messo in discussione. Del resto sono “i nostri sacrosanti principi“, come vengono chiamati dall’uomo nella scena clou del film, poco prima di essere beffato dalla modernità del rinnovato atteggiamento di Assunta.

E tu mi devi accompagnare, of course… di corsa!

Monicelli dirige con stile divertito e ricco di trovate, allestendo scenette imperdibili e siparietti vari, partendo da presupposti grotteschi quanto seriosi, nello specifico una storia di coercizione e potere (come già ne Il marchese del grillo) per poi declinare la narrazione nella crescita del personaggio di Assunta Patanè (simboleggiato dal cambio di pettinatura sempre più moderno): da donna siciliana arcaica e vittima di una mentalità avallata, all’epoca, da una legge assurda (quella del delitto d’onore, che consentiva di sostanziali sconti di pena nel caso si uccidessero mogli, figli o sorelle per motivi di “onorabilità”, simboleggiata dalla rivoluzione attuata da Franca Viola e cancellata dal codice penale, ancor più grottescamente, soltanto nel 1981) a donna libera ed emancipata. Non a caso, La ragazza con la pistola esce esattamente nell’anno 1968.

Un cult del cinema italiano, una commedia anche relativamente leggera vista oggi, che anticipa in parte la moda dei toni da pseudo-thriller nei film sentimentali, in cui è diventato normale (o stereotipato, se preferite) che ci sia una protagonista avvenente che ucciderebbe, letteralmente, per difendere il proprio idealizzato amore.

Io dico che è motto; casomai… mi pagano lo stesso?

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