Presentato da pochissimo alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – dove Toni Servillo ha vinto il premio Pasinetti al miglior attore, Qui rido io viene distribuito nelle sale appena due giorni dopo. Martone, anche grazie alla propria esperienza di regista teatrale (qualcuno ricorderà quella de l sindaco del rione Sanità nel 2017), costruisce un unicum dedicato ad un personaggio relativamente ignorato dalla cinematografia. Film che inizia con una perla, peraltro: le prime immagini che si vedono sono state girate a Napoli dai fratelli Lumière in persona.
Il film mostra la vita della compagnia teatrale scarpettiana, intenta inizialmente a proporre in una sala gremita e “tutto esaurito” il classico Miseria e nobiltà; questi incassi impressionanti hanno permesso a Eduardo Scarpetta di vivere molto bene, creando una sorta di “famiglia allargata” che vive nel lusso ed in cui convivono da sempre figli e figliastri (alcuni dei quali, come si desume da lettere autentiche dell’epoca, lo chiamavano “zio”).
I film sul teatro non sono molti, probabilmente, e Qui rido io si aggiunge a quel piccolo numero di opere di questo genere, destinate al grande pubblico e per certi versi sulla falsariga di film come Birdman. Non consideriamo in questa sede il pluri-citato film su Natale in casa Cupiello perchè, ovviamente, fu un’operazione diversa, nei tempi e nei modi. E badate bene, Qui rido io è un film gradevole, ben ritmato e apparentemente ben documentato (i fatti rappresentati nel film sono effettivamente avvenuti, quando romanzati quando meno, inclusa la spassosa deposizione in tribunale del protagonista). Soprattutto, e non poteva essere diversamente, non si tratta di un lavoro di nicchia, come si poteva sospettare – tanto è vero che esalta l’arte scarpettiana (che è popolare per definizione, molto prima che questo aggettivo assumesse valenze eventualmente qualunquiste).
In questo Toni Servillo appare perfetto nella sua parte, abile a tratteggiare sia il lato comico dell’attore e commediografo che quello tragico e contraddittorio, unito ad una vita fatta di molte relazioni extra-coniugali tra cui quella che portò alla nascita di Titina, Eduardo e Peppino De Filippo.
È piuttosto chiaro l’intento di omaggiare il teatro come forma di arte, di espressione e di libertà totalmente non convenzione, libera da quelli che diventeranno i paletti dei palinsesti TV ma soprattutto scevra dalle limitazioni imposte dalla SIAE dell’epoca, molto vicina al poeta Gabriele D’Annunzio di cui Scarpetta ideò una parodia de La figlia di Iorio (una tragedia in tre atti del 1903), ribattezzata per l’occasione Il figlio di Iorio. In tal senso l’intento dell’opera sembra assumere una valenza libertaria, tant’è che nei titoli di coda si conclude con una “sentenza storica” del tribunale di Napoli che consentì, da allora in poi, riadattamenti e parodie di opere considerate “sacre” le quali, diversamente, forse non sarebbero mai esistite. Il diritto di parodiare e sbeffeggiare il potere è quello della satira, peraltro, a cui fino ad oggi siamo abituati ad assistere ad attacchi continui (soprattutto e nello specifico se dovesse ledere gli interessi del potere stesso, prima ancora che farne una questione di moralità pubblica).
Forse è eccessivo pensare che Mel Brooks, i Monty Python e Lenny Bruce debbano qualcosa a Scarpetta, a questo punto, ma sicuramente la causa vinta contro D’Annunzio contribuì a fare la storia, da allora in poi.
Chi era Eduardo Scarpetta
Odoardo Lucio Facisso Vincenzo Scarpetta, meglio noto come Eduardo, rappresenta una delle figure basilari del teatro moderno. L’opera Miseria e nobiltà (guardala in streaming gratuito su RaiPlay) resa celebre dal film di Totò, per intenderci, fu una sua commedia del 1887 tra quelle di maggiore successo. Altro lavoro che viene citato nel film, e da cui anche qui sono state tratte commedie di successo, è Il medico dei pazzi (si tratta del copione che il protagonista incarica il giovane De Filippo di trascrivere), mentre gran parte del film di Martone si incentra su La figlia di Iorio, parodia della tragedia quasi omonima Il figlio di Iorio di Gabriele D’Annunzio.
La comicità ideata dall’attore e commediografo napoletano hanno costruito le basi su cui si sarebbero fondate generazioni di interpreti successivi, oltre a sdoganare il genere del teatro “popolare” e conferirgli sempre maggiore dignità. Le trovate scarpettiane si basavano su adattamenti in dialetto napoletano di alcune commedie francesi, ma anche su commedie originali basate tipicamente su equivoci e raggiri. In essi i “tipi” caratteristi erano personaggi popolari, caratterizzati e abili a strizzare l’occhio ed entrare nel cuore del pubblico, e in cui il pubblico stesso non faticava ad identificarsi.
Scarpetta creò anche il personaggio di Felice Sciosciammocca, reso famoso da Totò nel film Miseria & Nobiltà e, per come viene presentato nel film di Martone, ideale “erede” della maschera di Pulcinella. Delle 120 commedie scritte da Scarpetta molte sono rimaste inedite o non pubblicate, e di fatto tendiamo a ricordare soltanto quelle rese celebri dai film omonimi (i primi dei quali già nel 1911).
L’eredità scarpettiana influenzò almeno in parte la produzione del drammaturgo Eduardo De Filippo, figlio non riconosciuto – e parte di una famiglia che trascorse la propria vita nel mondo del teatro teatro. Sulla dinastia degli Scarpetta bisognerebbe aprire un capitolo a parte, del resto: pare che Eduardo Scarpetta abbia avuto ben nove figli, frutto di relazioni extra-coniugali, su cui per primo fece poco per nasconderle.
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