Sei individui insospettabili (tre uomini e tre donne) hanno delle forme di feticismo molto particolari, che coltivano segretamente.
In breve. Un capolovoro di cinema surrealista, vero marchio di fabbrica di Švankmajer.
La Praga dei giorni nostri (siamo a metà anni ’90, periodo di uscita della pellicola) è l’ambientazione di questo particolare film di Švankmajer, successivo a Lekce Faust ed incentrato, questa volta, sulle ossessioni sessuali e sui feticci di sei personaggi apparentemente comuni e senz’anima.
Conspirators of Pleasure (Spiklenci slasti, in Italia Cospiratori del piacere) assume spesso e volentieri i toni della commedia grottesca alla Monty Python, dove le situazioni assurde sono non soltanto all’ordine del giorno, ma lo sono a tal punto da risultare disorientanti per lo spettatore. Che potrebbe strizzare gli occhi a più riprese, incredulo o in presa ad un riso isterico, chiedendosi cosa stia realmente guardando – ed è già un’ottima notizia, visto che una trama sostanzialmente non esiste e si sfrutta, se vogliamo, un meccanismo narrativo abbastanza sulla falsariga di Slacker (la pura prossimità ambientale per sequenziare le scene, personaggi presi sostanzialmente dalla strada, la casualità degli avvenimenti).
Presentato per la prima volta al Festival di Locarno nel 1996, Cospirators of pleasure si apre con immagini fortemente allusive (sesso con animali, masturbazione e varie forme di coito, inclusa una carriola con tanto di ruota) ma poi, a dispetto delle premesse, non contiene nulla di realmente esplicito. I sei personaggi sostanzialmente non si conoscono, se non per sguardi che vorrebbero dire tutto senza dire nulla, e poi scoprono avere qualcosa in comune: tre sono attratti dai rimanenti in modo segreto, a volte ricambiando a volte no, sempre con la costante di non vivere alcun rapporto fisico.
Così assistiamo alla giornalista televisiva che ama farsi succhiare gli alluci dai pesci che nasconde nella camera, il marito coi baffi che si gode il proprio feticismo tattile per spazzole, chiodi e pennelli da barba, l’edicolante che sogna sessualmente la giornalista e si costruisce un complesso macchinario per farsi masturbare mentre la guarda in TV, l’uomo camuffato da gallo che sogna un rapporto sadico o voodoo con la propria vicina (senza sapere che quest’ultima si sta costruendo un suo feticcio ripieno di paglia, con lo scopo di torturarlo), la postina che modella pazientemente palline di pane che infila nel naso e nelle orecchie prima di andare a dormire. Ci sarebbero alcuni parallelismi con il Cronenberg più estremo e fetish (Crash, naturalmente, ma anche Videodrome: impossibile non pensarci mentre vediamo l’edicolante leccare lo schermo), ma Svankmajer basta a se stesso e soddisfa la visione appieno: l’unico patto da rispettare, da parte dello spettatore, è quello di avere presente cosa sia il surrealismo. Altrimenti il doppio livello di realtà e surrealtà, di avvenimenti sarebbero impossibili da comprendere, e si frammenterebbero in una storia fine a se stessa (ammesso che quest’ultima sia davvero delineabile senza “surrealtà”); il tutto, a formare un caleindoscopio emotivo di quelli difficili da dimenticare.
Nel film, peraltro, non esiste alcun dialogo, gli effetti sonori sono volutamente esasperati e la musica classica accompagna quasi la totalità del film. Il messaggio di fondo, in effetti, è disperato quanto grottesco: ogni personaggio finisce per soddisfare un desiderio sessuale inappagato costruendosi accuratamente degli oggetti per soddisfarlo o, al limite, collezionando qualcosa che possa “riempirli” (le briciole di pane) o soddisfarli quantomeno a livello tattile (le spazzole, le mani meccaniche).
Neanche fossero cuochi ispirati quanto esigenti, si inventano – con l’aiuto della gamma più incredibile di oggetti, animali, dispositivi che siano – il proprio “piatto” preferito, unico modo per anelare ad un orgasmo totale. Non c’è altro modo per descrivere Cospiratori del piacere che non quello di ricorrere a simili analogie o sinestesie, piaccia o meno. Una postina, un negoziante, un presentatore televisivo, un detective e due coinquilini scovano gli oggetti di cui hanno bisogno ricorrendo agli espedienti più fantasiosi: ed è tutto qui, o quasi. In fondo la vita non è che il background sul quale costruire esperienze sessuali stimolanti, sembra suggerire il regista: ma l’erotismo di Svankmajer è poco esplicito, ed è prima di tutto anticonvenzionale (il collage di riviste erotiche utilizzato per costruire il gallo di cartapesta).
Con questo film qualcuno ha scomodato Sade, moltissimi Freud, ma rimane una semplice considerazione di fondo: questa è avanguardia, prima di tutto, e come espressione tale si affida esclusivamente alla suggestione, all’inconscio, agli istinti repressi che accomunano i personaggi e che (suggerisce la storia) sono destinati a non risolversi, mai. La stop-motion inserita nella pellicola è il tocco di genio determinante, poi, per definire questo film uno dei capolavori surrealisti contemporanei.
Per molti, probabilmente non per tutti.
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