Rileggere oggi la Psicologia delle folle di Gustave Le Bon appare un ovvio tributo, per certi versi, ai tempi che viviamo. A parte il fatto che bisognerebbe – il he sarebbe più consono ai tempi moderni – rinominarlo Antropologia delle masse, parere personale s’intende, dato che fa riferimento ad esperienze percepite nella visione di uno studioso di metà Ottocento. Più volte Le Bon, nel suo saggio, rimarca la necessità di viaggiare, studiare le popolazioni sul posto, e colpiscono nel testo quei continui riferimenti alle Razze, al comportamento delle folle basate sulla Razza, sottintendendo la possibilità che esistano folle di razza A, B, C e quant’altro.
Del resto conta ben altro: il comportamento della folla, quale che sia la Razza (o presunta tale), rimane quello animalesco e irrazionale che Hitler, Stalin, Mussolini hanno studiato meticolosamente, e a cui potrebbero essersi ispirati nelle loro decisioni politiche.
Le masse. Le folle. Le folli folle.
Gustave era appena uscito dalla medesima macchina del tempo che aveva portato Wells nella Londra anni ’70. Pervenendo ai giorni nostri, stava per partecipare ad un talk show in cui si sarebbe parlato di cyberbullismo. Forse. Quel giorno si sentiva, letteralmente, l’uomo venuto dal passato: non c’era ansia per questa etichetta, tutto nella norma. Il suo unico terrore ancestrale, difficile da celare all’interno del libro, era il comportamento folle delle folle. Le masse che spaccano, predicano implicitamente il darwinismo social(e), sulla falsariga di una marea di comportamenti antisociali, insulti e irrazionali.
Poco prima che iniziasse la diretta, una addetta stampa gli spiegò pazientemente di cosa avrebbero parlato, centellinando le parole e spiegandogli in parole semplici cosa fosse un social network.
Gustave era appena rientrato dall’ennesimo giro per il tempo e l’universo, in cerca di nuovi argomenti su cui scrivere.
Soffriva di incubi.
Incubi nei quali – nel bel mezzo della Rivoluzione Francese, di solito – finiva decapitato.
Era un sogno orribile, fatto di frammenti vividi che la sua memoria era ansiosa di mettere in fila, quasi a volersi togliere il pensiero e terminare quel climax d’orrore prima possibile. Era sempre uguale: sentiva la folla urlargli contro, poi poggiava la testa sulla gigliottina, ripensava a un deja vu con qualcosa che non poteva aver visto (Don Bastiano ne Il marchese del grillo). Nel sogno aveva qualcosa da obiettare a quel caos: del resto le folle le aveva studiate, e così provava a parlarci.
Ma non ci riusciva, perchè non usciva alcuna parola dalla sua bocca.
Gustave boccheggiava e rantolava senza trovare le parole, mentre un energumeno – quasi certamente, il boia che lo spintonava – faceva sentire la sua presenza. Nessuno lo stava a sentire. Nessuno poteva sentirlo, perchè il rumoreggiare della folla ricordava mille onde di un mare tempestoso.
Nessuno, gli venne da pensare, lo aveva forse mai ascoltato. Poi, all’improvviso, sentiva la gighiottina scendere su di lui, la spina dorsale tendersi, e la sua stessa testa saltare via dal busto. La spina dorsale, per quanto ne sapeva un uomo colto di metà Ottocento, era la sede dell’inconscio.
Dopo la decapitazione, si alzava in piedi.
Cercava la testa nella cesta, con le folle sempre più folli, la individuava, e poi andava a riprendersela. Era la sua, e non avrebbe sopportato battute sul “perdere la testa”. Ma non faceva in tempo a recuperarla perchè, chissà con quali occhi, vedeva sè stesso emanare un urlo di terrore, in quella accozzaglia di teste, carne, sangue e morte. Quell’urlo finale lo svegliava di soprassalto, e quella volta scoprì di essersi addormentato dietro le quinte.
Doveva andare in diretta: mancavano pochi minuti, gli suggerì un assistente di regia.
Signore e signori buon pomeriggio, e benvenuti a questa nuova puntata di Parliamo a vanvera.
(Risate. Applausi.)
Dopo aver affrontato l’annoso problema di come sia fatto un vero piatto di pasta Italiano, nonchè del tipo di tortura da somministrare alla gente cattiva, siamo qui con un ospite d’eccezione. È con noi Gustavo Lebuon, un bell’applauso (applausi), il famoso antropologo che forse conoscerete per via dei video che qualcuno ha caricato su Youtube.
Grazie a … come, scusi? Buona sera, grazie a tutti.
Benvenuto, Gustavo. Ringraziamo lo sponsor ufficiale Ammucchino, il gel per le mani che funziona anche come digestivo, per aver sponsorizzato la macchina del tempo che ha riportato tra noi questo grandissimo scienziato. Partiamo dall’inizio, caro Gustavo: cosa si intende con questa Psicologia delle bolle?
Veramente si chiama “Psicologia delle folle”. Partirei da un fatto storico: nel 1870 scoppiò la guerra franco-prussiana, a quanto ne sappiamo, a causa di un dispaccio ufficiale manipolato e male interpretato.
Ecco sì, insomma, una fake news (il pubblico rumoreggia).
Quella lettera venne manipolata per avere un pretesto per fare la guerra. Da lì ho studiato le masse, e oggi sappiamo come funzionano le masse. La loro caratteristiche generale, potremmo dire, consiste nell’eccessiva tendenza a farsi suggestionare, e nel mio libro ho ampiamente mostrato le componenti mistico-contagiose che sono in grado, a mio parere, di spiegare l’orientamento repentino dei loro sentimenti, in un senso o nell’altro. E poi, mi scusi, non ho capito la storia di Youtube e del video caricato senza che io ne sapessi nulla, me la rispiega?
(applausi) Guardi, giusto che ci siamo… rincarerei un po’ la dose. Giusto per approfittare dell’attenzione del nostro amatissimo pubblico.
In che senso? Ad ogni modo: nelle folle si registrano la progressiva sparizione della personalità cosciente, il predominio assoluto della personalità inconscia, l’orientamento del modo di ragionare istintuale tramite suggestione, il contagio dei sentimenti e delle idee in uno stesso senso, conformistico, oclocratico. L’individuo nella folla non è più lui: è un automa, non più guidato dalla propria volontà.
E non pensa che gli automi si possano sentire discriminati dal suo libro? (Pubblico rumoreggia. Primo piano su un signore che fa sì con la testa, assorto, poi su un’altro che è pensieroso, e sembra dare ragione alle allusioni del conduttore)
Veramente no, cosa c’entra…
Parliamo di social network (applausi). Secondo lei, le sue teorie sulle folle si possono, nel 2022, applicare agli utenti dei social network?
L’immaginazione simbolica delle folle è sviluppata all’ennesima potenza, tanto da assumere i tratti di una credenza religiosa. Direi di sì, possiamo farlo. Sui social siamo antisociali e incapaci di ragionare, in grado esclusivamente di collegare fatti vaghi in modo approssimativo (quanto, per estremo paradosso) convincente. Il che mi ricorda la diffusione delle religioni su qualsiasi scala. Sui social svilippiamo comportamenti anti-sociali proprio per la stessa illusione che spinge le masse a non ragionare quando si trovano in gruppo.
(applausi, qualche fischio) Grazie per l’attenzione, dobbiamo chiudere qui. Alla prossima!
I fatti raccontati sono, se servisse specificarlo, puramente immaginari. Ispirato liberamente a Psicologia delle folle di Gustave Le Bon (1895).