I social media contribuiscono ad alimentare le teorie del complotto? Questo studio del 2021 lascia qualche dubbio

È noto che gran parte delle cosiddette teorie del complotto si diffondono grazie ai social media: UFO, scie chimiche, COVID-19 e annessi, sicurezza vaccinale, satanisti pedofili che controllano lo stato, sono teorie più o meno credibili quanto popolari grazie ai social media. Internet è lo strumento principe con cui questo genere di idee vengono veicolate,secondo quello che Wu Ming 1 chiama lo «stile paranoico» del complottismo […] un potente dispositivo retorico che incanala la rabbia sociale e le energie per un potenziale cambiamento verso narrazioni diversive e intrinsecamente reazionarie, incentrate su capri espiatori. Mentre numerosi studi sociali hanno evidenziato il forte legame tra uso intensivo dei social network e propensione a diffondere bufale e teorie del complotto, sembra interessante comprendere quali siano i presupposti da cui i vari complottisti più o meno convinti sono partiti, e che costituiscono il loro background sociale, economico e/o culturale.

Il recente articolo Relazione tra uso dei social media e credenze nella disinformazione e nelle teorie del complotto (The Relationship Between Social Media Use and Beliefs in Conspiracy Theories and Misinformation) è partito dall’analisi di un primo gruppo di individui per cui era confermata la propensione a credere alle teorie del complotto da parte di chi faceva molto uso dei social media. L’inclinazione media, in sostanza, è evidente, per quanto esistano eccezioni e non si possa propriamente dire che i social media “causino” la credenza di per sè. La subordinazione tra uso intensivo dei social e credenze nei complotti è stata confermata da uno studio risalente al 2020, periodo di inizio pandemia e lockdown.

Detta in maniera più sintetica possibile: non è scontato che i social media causino la diffusione di disinformazione, fake news e teorie del complotto – bensì che (in modo meno intuitivo) siano le teorie del complotto a diffondersi velocemente sui social.

La relazione condizionale che è stata scoperta, tuttavia, suggerisce che l’impatto dei social media sulle credenze nelle teorie del complotto e sulla disinformazione sia relativamente trascurabile a meno che gli individui non siano già attratti / predisposti ad accettare quelle idee. Questi risultati sono conformi a un corpus recente e crescente di letteratura che dimostra che la relazione tra l’uso dei social media e le convinzioni del genere è più sfumata e limitata di quanto precedentemente ipotizzato in precedenza. Detta in altri termini: la narrazione molto diffusa tra i debunker secondo la quale l’impatto dei social media su fake news e teorie alternative non supportate scientificamente suggerisce una relazione causa (social) effetto (diffusione teorie del complotto), per quanto ad esempio sia stato visto che il numero di complottisti non sia in aumento o comunque, alla peggio, sia rimasto stabile.

Sembra pertanto falso che  le credenze nelle teorie del complotto e nella disinformazione stiano aumentando, per quanto esista una forma di correlazione tra le due. Ma allora resta vero che l’uso dei social media sia un fattore causale di questo aumento? L’affermazione trova un certo supporto empirico ed è spesso rafforzato dalle correlazioni osservate, per quanto le correlazioni non implichino causalità (come è noto nell’ambito statistico) e per quanto l’effetto sia meno netto di quello che si vorrebbe credere. Alcuni studi specialistici citati nell’articolo, per intenderci, sottolineano come aspetti personali come credenze politiche, adesione a partiti, principi ideologici, tratti di personalità e appartenenza a gruppi sociali possano essere determinanti per comprendere la propensione individuale a questo genere di credenze, a prescindere dall’uso dei social.

 

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