Speciale: il cinema del complotto

Il cinema, da sempre, al di là della sua innata funzione di intrattenimento, ci aiuta a leggere la realtà? Se tutti adesso vedono e rivedono Contagion di Soderberg, per intenderci, non è che siano improvvisamente diventati cinefili: c’è paura, tanta, è normalissimo che ci sia – ed un film come quello aiuta ad esorcizzare. Le piattaforme di streaming come Netflix stanno riducendo la qualità dei video, in alcuni casi, per limitare l’uso della banda, data la richiesta surreale che sta arrivando: se ci pensiamo, solo in Italia, 6 milioni di persone a casa, un bacino d’utenza fresco (credo) praticamente inedito per l’Italia.

Tutti in casa belli e connessi, insomma – o quasi, tranne qualcuno che (suo malgrado) dice di non “credere” al virus: le teorie del complotto hanno iniziato a diffondersi anche in Italia, il virus secondo loro è stato creato apposta, addirittura non esisterebbe. Eppure le immagini dei mezzi militari a Bergamo che portavano via le vittime del virus dovrebbero averle viste tutti: e allora come si può arrivare a questo – nonostante una realtà come questa, evidente, tangibile, che ci costringe a rimanere tappati in casa il più possibile? Evidentemente un virus cattivo, difficile o impossibile da curare ed evoluto in modo naturale – come sembrerebbe essere il coronavirus – è molto, molto più spaventoso di uno creato in laboratorio ad hoc (quando, a mio parere, dovrebbe essere il contrario).

Ne abbiamo sentite di fandonie e assurdità, in questi anni: il surriscaldamento globale che non esiste, o che è stato inventato dai climatologi per tutelare il proprio lavoro. L’evoluzione darwiniana, che sarebbe secondo alcuni “solo una teoria“. Le vaccinazioni che causerebbero l’autismo. Queste sono tutte, evidentemente, assurdità a cui nessuno dovrebbe credere: ma nel clima di ricerca di soluzioni facili, sbrigative, perchè in fondo abbiamo di meglio a cui pensare (arroganza pura di alcuni, purtroppo), perchè a qualcuno le disposizioni governative fanno un baffo, . Ma il problema sono anche i media, ai quali sembra interessare solo il body-count, la conta spietata delle vittime, il click-bait che manco nei siti di bufale ed il portare lettori sul proprio sito a qualsiasi costo, magari perchè pagano (poco, s’intende) gli stipendi ai propri giornalisti ad impressions.

Un clima folle, esasperato e crudele che in parte George Romero e Brian Yuzna avevano quasi profetizzato negli anni scorsi; e con loro, ovviamente, molti altri registi di tutto il mondo.

Il paradigma di negazione della realtà alla ricerca di una spiegazione alternativa, se possibile condizionata dal Governo, laboratori segreti e da “quello che non ci dicono“, se storicamente non sarebbe nemmeno impossibile (complotti ce ne sono stati nella storia, ma meno frequentemente di quello che si pensa) è diffuso nella sua forma più cruda come negazionismo (denialism) ed è ben noto nella psicologia del comportamento umano. Dopo questo virus gli psicologi mondiali, per inciso, avranno un bel da fare con tutti noi.

Negare la scienza, dicevamo, negare le realtà ufficiali fa sentire appagati e (forse) più tranquilli: ed è determinato anzitutto dal clima di confusione imperante, e non solo. Dipende anche da realtà che spesso diventano troppo brutali da accettare. Molti non riuscirono ad accettare che gli attentati dell’11 settembre fossero stati organizzati contro la nazione più potente al mondo, e quindi ripiegarono (e ripiegano ancora oggi!) su spiegazioni “alternative”, anche se improbabili o completamente inventate. Si nega l’olocausto, si nega l’AIDS, il cambiamento climatico: tutto, pur di adattare la realtà al proprio standard di vita. Un’ottica egoista e miope, che trova purtroppo tanto consenso, ad esempio, negli ambienti più conservatori e chiusi, ma in alcuni casi addirittura in quelli più radicali e progressisti. Chi nega il coronavirus, probabilmente, non riesce proprio ad accettare che possa costringerci alla quarantena.

Esiste una sterminata filmografia di cinema complottista o para-complottista, che non per forza ha a che fare con la malattia in senso pandemico: un esempio è Shutter Island di M. Scorsese, in cui il protagonista si inventa una realtà alternativa in cui vivere pur di non ammettere di aver fallito. Anche film meno noti al grande pubblico come Cube o Pathos, ad esempio, ricalcano le paure di chi crede di avere tutto contro: un mondo ostile, cupo ed in cui le trappole sono architettate ad arte – non si sa bene per quale motivo, da chi e cui prodest.

Citerei anche Society di Yuzna, peraltro, perchè è l’espressione più lampante di un atteggiamento molto diffuso anche in Italia: se sei di status sociale elevato ti senti comunque superiore alla massa, non attaccabile da alcun virus. A proposito di contagio, anche film come The Gerber Syndrome: il contagio, Pontypool, Crimes of the future, La città verrà distrutta all’alba, Apocalypse Domani, e direi anche l’inquietantissimo Rabid – Sete di sangue rientrano secondo me a pieno diritto negli horror incentrati sulla diffusione di pandemie, malattie sconosciute e germi misteriosi e sfiguranti. In un’ottica travisata dai più, peraltro, anche Essi vivono di John Carpenter (regista rigidamente materialista, peraltro) è molto noto nell’ambiente complottista.

Ci sono molti altri film e documentari, di cui non ho mai volutamente parlato su questo blog, che mantengono la stessa falsariga e la estremizzano: ci raccontano che la realtà è manipolabile, distorta, e cercano di convincerci (a differenza dei titoli citati) che le cose stiano proprio come dicono loro. In questi giorni siamo di fronte ad un evento di portata mondiale che avrebbe fatto rabbrividire anche George Romero e Lucio Fulci, che a più riprese immaginarono l’apocalisse dovuta ai morti viventi (per via di esperimenti incontrollati, abusi ambientali, cause ignote e naturalmente diffusione di epidemie).

In definitiva: sono un umile recensore di un piccolo, quasi insignificante sito di cinema. Non uso i social per diffondere biecamente articoli del genere, basandomi sul clickbait: li scrivo e basta. Non sono nessuno, non sono un virologo, non sono un complottista. Dico solo che certi film andrebbero rivisti, per avere la conferma che gli artisti, i registi, gli sceneggiatori sono spesso profetici, e se non lo sono hanno le antenne – quantomeno. Se ogni persona è tentata, anche la più razionale, a pensare ad un complotto, ricordiamoci del rasoio di Occam: la spiegazione più semplice è spesso quella giusta. E noi, in fondo, siamo soggetti ai virus in quanto, semplicemente, siamo parte della natura.

Solo che, purtroppo, molti di noi – tra un selfie ed un aperitivo – se lo sono dimenticato.

Photo by Josh Hild on Unsplash
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