A l’intérieur è il capolavoro horror che ci guarda dentro

Vigilia di Natale, Parigi: le rivolte delle banlieue sono in pieno svolgimento. Sarah, una fotografa professionista, è al nono mese di gravidanza: solo quattro mesi prima è scampata miracolosamente ad un incidente automobilistico in cui ha perso il compagno, e vive da allora in stato di depressione. Decisa a trascorrere la sera in solitudine, riceve la visita di una misteriosa donna che dice di volerle parlare.

In breve. Un gran film: avvincente, diretto e molto ben congegnato. La tematica delle barricate domestiche contro il maniaco di turno non è nuova, ma qui viene sviluppata con modi e mezzi diversi dalla media. La storia è trasposta in una dimensione puramente tragica, mai artefatta ed estremamente realistica. À l’intérieur omaggia senza fronzoli (e senza inutili autocelebrazioni, soprattutto) almeno due classici della storia del cinema (il Romero più celebre ed il Carpenter più popolare) e, per la sua fortissima personalità e ritmo, è forse uno dei migliori horror recenti mai realizzati.

È abbastanza ovvio che la storia di una donna incinta, di per sè, crea facili presupposti per qualsiasi storia dell’orrore: se a questo si aggiunge uno scenario claustrofobico e senza scampo, che evoca direttamente la casa in cui tentano di rintanarsi gli umani per contrastare l’invasione di zombi, ci si convince facilmente che si tratta di un film davvero fuori dalle righe. Soprattutto è apprezzabile il fatto che l’argomento venga affrontato con un certo equilibrio: non certo con la delicatezza di una favola per bambini, beninteso, ma neanche mediante le sadiche esagerazioni di un film controverso come Snuff 102.

I corpi, in questo film, sono ben lontani dall’essere dei meri contenitori o inermi vittime del perverso burattinaio di turno: la protagonista Sarah, ferita quasi a morte sia fisicamente che mentalmente, mostra un’estetica da guerriera per “naturale necessità”, relegata ad una dimensione quasi ascetica di sofferenza ed al solo fine di proteggere il nascituro. Tale sfaccettatura, per quanto spesso accoppiata (per stile e nazionalità) ad un film come Martyrs, non ha qui nulla di spirituale, e questo perchè il film è materialista in senso biologico: dalla vita della bella Alysson Paradis dipende quella del figlio, lo spettatore lo sa dall’inizio e su questa semplice assunzione costruisce empatia con la protagonista, vive la vicenda assieme a lei e scusate se è poco. Di fatto la costruzione di sequenze di tensione interminabili, oltre ad infiniti colpi di scena (mai prettamente sensazionalistici, a parte forse nel finale) fa emergere un conflitto esasperato all’ennesima potenza: da un lato una partoriente indifesa e sola, dall’altra una sadica donna in nero che sembra non offrire altri argomenti se non un enorme paio di affiliatissime forbici. À l’intérieur finisce così per diventare uno dei film più spaventosi degli ultimi anni, e la fama che lo ha accompagnato appare del tutto giustificata anche solo per il ritmo forsennato – sostanzialmente privo di momenti morti – che il regista è riuscito a creare.

Merito in parte dell’interpretazione della Paradis, personaggio perfettamente credibile e dai tratti profondamente umani che finirà per richiamare – seppur per brevi accenni – un’eroina da revenge movie di altri tempi, che non accetta di essere un mero contenitore di vita e che lotta con orgoglio fino alla fine. Ma sarebbe impossibile discutere questo film senza mettere in ballo Bèatrice Dalle, il personaggio della donna antagonista, diverso dal solito mostro di sesso maschile ma, al tempo stesso, apertamente ispirato alla gelida freddezza di Michael Myers: le sue movenze all’interno della casa per impossessarsi del corpo di Sarah evocano effettivamente le movenze del maniaco partorito (!) nel 1978, per una volta senza scomodare le solite dinamiche trite da slasher puro. Per quanto il body count si rivelerà particolarmente alto (ci mancherebbe altro), la tematica della maternità ben si presta a questo tipo di digressioni, rendendole in modo piuttosto originale sulla base di un soggetto del critico francese (e regista assieme a Maury) Bustillo. Una storia efficace e sorprendente, forse vagamente intuibile verso la fine ma, per fortuna, nemmeno tirata per le lunghe, tanto da riuscire addirittura – nella sua formula dichiaratamente tragica – a vivere anche qualche istante di humor nero (“Quale uomo si scoperebbe una pazza maniaca come te” chiede la povera Sarah alla misteriosa donna che vorrebbe farla fuori). Quello della mancata maternità e della fragilità dei corpi femminili è un topic, per la verità, non nuovissimo, ed affrontato in svariate occasioni dentro il cinema dell’orrore (si pensi all’episodio più controverso di Three… Extremes oppure a Pro Life di Carpenter): in “À l’intérieur” diventa molto sgradevole specie nelle sequenze conclusive, dove si conclude la vicenda in modo inesorabile e con un clima cupissimo da cui – in senso buono – lo spettatore non vede l’ora di liberarsi. Questo horror-thriller francese è presentabile come una sorta di revival della lotta per la sopravvivenza in una notte resa celebre da La notte dei morti viventi, dove il posto dei cadaveri ambulanti viene degnamente preso dalla ferocissima madama oscura (la Dalle), una “vedova nera” morbosa e crudele che sembra letteralmente nutrirsi di morte, e le cui motivazioni diventeranno chiare soltanto alla fine (anche se, c’è da dire, in modo non del tutto inaspettato).

À l’intérieur in conclusione non è un film per tutti – e questo, dopo aver letto le argomentazioni, sembra quasi scontato; per chi vorrà e potrà, è un’esperienza che non lascerà di certo indifferenti, e che varrebbe la pena di vedere anche solo per lo splendido quadro finale.

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