Algospeak!
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Una fetta d’anguria per la Palestina: è così che si presentava un tweet molto citato su X negli ultimi giorni. Il riferimento era ai colori dell’anguria che sono gli stessi della bandiera palestinese, il tutto impostato in modo tale da schivare i filtri della censura social. La stessa che impone di scrivere $e$$o e a$$a$$inio con il dollaro al posto delle s, sempre per la stessa ragione. È quello che afferisce, nel variegato linguaggio dei social, a ciò che viene chiamato algospeak.

Etimologia, anzitutto: la Treccani lo mette tra i neologismi e ci dice: il termine nasce dall’unione fra le parole inglesi “algorithm” e “speak” e indica appunto un modo di parlare (“to speak”, in inglese) condizionato dagli algoritmi di intelligenza artificiale cui è affidata la moderazione dei contenuti sui social network.

Secondo l’algospeak si dovrebbe scrivere «le$bica» e «se$$o» per aggirare eventuali censure, e se l’anguria rappresentava la Palestina il girasole ha fatto lo stesso per simboleggiare l’Ucraina. Ma i simboli non si possono nè si dovrebbero sostituire ed intercambiare come se nulla fosse, senza neanche un intento ideologico (come aveva fatto il discussissimo schwa – e, oggi probabilnente dimenticato). Lo schwa è un suono vocalico che viene rappresentato foneticamente con il simbolo ə, e che vuole essere nelle intenzioni di molti promotori un inno all’inclusività del linguaggio, come suono esistente anche nella lingua italiana e simbolo facente parte dell’IPA (International Phonetic Alphabet), l’alfabeto fonetico internazionale.Simboli non convenzionali che appaiono nel discorso, e poco importa se siano girasoli o ə.

L’algospeak rischia invece di essere sostanzialmente l’opposto, non tanto per la modalità di mera sostituzione dei simboli (che in informatica è una delle prassi più diffuse, dato che per sostituzione di simboli si sviluppano ad esempio le grammatiche generatiche dei vari linguaggi di programmazioni), ma perchè quella sostituzione viene fatta per aggirare un algoritmo di censura. Se da un lato va riconosciuta l’abilità sostanziale degli utenti che riescono ad aggirare una censura ingiusta (quanto necessaria dal punto di vista del social), dall’altro va riconosciuto il problema dell’inclusività del linguaggio, che rischia di rendersi incomprensibile ai più se non, per l’appunto, quando fatto in maniera eclatante come nel caso dell’anguria di cui sopra.

Del resto la storia del linguaggio è intessuta di codici cifrati, una prassi antica che rispecchia l’impulso umano di appartenere a gruppi esclusivi: il caso del mondo dell’hacking è emblematico, in tal senso. Si parlava su chat crittografate nel terrore di essere scoperti non si sa bene da chi, non si sa bene a fare cosa. L’algospeak contesta indubbiamente i governi autoritari e le loro derive protese ad imporre la censura. Ma c’è anche un aspetto ulteriore in ballo: che le aziende informatiche si prestano spesso, fin troppo volentieri, a fare da sponda a quelle derive censorie.

E qualcuno dovrà prima o poi accorgersi che ci sono parole come sesso che non dovrebbero essere censurate in nessun caso.

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