The babysitter: un gioco cinematografico (riuscito) sullo stereotipo della babysitter sexy

Cole (Judah Lewis), un ragazzino timido ed impacciato, è innamorato di Bee, la sua babysitter (Samara Weaving): una sera che i genitori sono fuori casa, decide di rimanere sveglio per curiosare. Scopre così un’incredibile verità sulla ragazza…

In breve. Comedy horror dai toni leggeri e scanzonati, che ricorda una sorta di versione parodico-splatter di un classico anni ’90 come Home alone. L’ideale per una visione spensierata, e sostanzialmente gradevole, per chiunque (o quasi).

Quello di The babysitter è un humour nero goliardico e scanzionato, in parte derivativo dallo splatter demenziale alla Bad Taste (in versione meno insistita e b-movie), che strizza l’occhio alle dinamiche delle commedie americane (protagonista, antagonisti-bulli, vicina di casa, …), infarcendole di splatter e violenza – quest’ultima piuttosto ben dosata, e priva di veri e propri eccessi. Se i toni iniziali sono quelli zuccherosi delle prime, ben presto arriveranno le esagerazioni, in un crescendo difficile da prevedere quanto apertamente “fumettistico” nell’impostazione.

Del resto la storia del nerd pre-adolescente bullizzato dai compagni, con al seguito vicina di casa e baby-sitter super provocante (e dai trascorsi non impeccabili, come si scoprirà) sembrerebbe di suo gettare le basi per una saga genuina, ricca di perle divertenti come (forse) non se ne vedevano dai tempi del primo Scary movie. Il film finisce ovviamente per simboleggiare il processo di crescita del piccolo Cole, da introverso ed imbranato ad inaspettatamente coraggioso e realista; The babysitter, di suo, ricorda molto da vicino un ibrido tra La casa 2 di Sam Raimi e Mamma ho perso l’aereo di Chris Columbus.

In fondo Cole non è che un Kevin McCallister altrettanto imbranato quanto, stavolta, alle prese con un’imprevista home invasion da parte di un gruppo di satanisti. Il paragone con questo classico degli anni ’90, del resto, ci invita a goderci il film per quello che è, per una volta senza scomodare paragoni e considerazioni troppo profonde e, al tempo stesso, omaggiando in maniera spudorata vari classici del genere. Se nel film di Raimi l’horror cruento e senza speranza aveva ceduto il passo ad una riedizione insistita quanto parossistica fino al demenziale dello splatter, in The babysitter la lezione viene colta appieno e rielaborata, dando spazio a nuove situazioni paradossali e dialoghi surreali tra gli antagonisti. Da godersi per quello che è e per una serata senza troppi pensieri, insomma.

La regia di “The babysitter” – distribuito su Netflix a partire dal 13 ottobre di quest’anno – è affidata a McG ovvero Joseph McGinty Nichol, già noto per Terminator Salvation e per vari documentari su Offspring e Cypress Hill, che dirige con classe questo particolarissimo film, facendo trasparire una forte influenza tarantiniana nell’impostazione, a partire dai titoli in sovraimpressione da cine-fumetto a finire con le situazioni sanguinolente e surreali che si verificheranno.

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