Brood – La covata malefica: la filosofia di David Cronenberg, in breve

Una efficace summa del Cronenberg-pensiero, rivisitato in chiave prettamente body-horror.

In breve: un film dal piccolo budget che ha lasciato il segno. Molto della poetica di Cronenberg è racchiusa in questo delirio di violenza visiva.

La trama: Hal Raglan (un ispiratissimo Oliver Reed) è un medico psico-terapeuta che lavora presso il Somafree Institute, ed è fautore di una tecnica innovativa denominata “psicoplasmatica“, nella quale i ricordi traumatici dei pazienti provocano mutazioni fisiche, in base alla natura delle loro emozioni. In particolare quello che il sedicente scienziato cerca di fare è liberare la rabbia repressa dei propri assistiti in modo fisico, cercando in questo modo di liberarli dal male che li opprime. Ottimi ed utopici presupposti pseudo-scientifici – costruiti con la medesima maestria con cui David Cronenberg ha rappresentato la teoria alla base degli spostamenti di materia de “La mosca” – che pero’ verranno smantellati dalla miserie e crudeltà insita nell’uomo (per la verità nella donna, nello specifico).

Brood: un certo numero di giovani prodotti o nati in una sola volta, una famiglia di figli o giovani (fonte)

Tra i pazienti, infatti, vi è la protagonista Nola Carveth (Samantha Eggar), che diventa espressione dell’eccesso della scienza, della degenerazione della psiche nella carne, nella mutazione – in definitiva – del suo odio represso attraverso piccoli ed assassini esseri mutanti. Questi ultimi, rappresentati come ragazzini deformi e molto simili tra di loro, sono stati partoriti dal male mentale che attanaglia Nola, e vengono controllati mediante una sorta di telepatia.

Alla fine il messaggio è quanto di più sconcertante si possa immaginare: e questo si vede sia nella celebre scena che mostra la mutazione di Nola, che arriva a rivoltarsi addirittura contro la sua unica figlia sana, che il padre cerca a sua volta sia di proteggere che di tenere egoisticamente per sè. Un quadro pessimismo, senza speranza e carico di orrore materiale, disumano: come sempre nella poetica di Cronenberg, insomma.

In effetti la degenerazione dovuta alla psicoplasmatica ha favorito questa sorta di evoluzione perversa della donna, mostrandoci una Samantha Eggar decisamente inquietante, espressione del più violento matriarcato che si possa immaginare. Epica, poi, la scena in cui la protagonista partorisce l’ennesimo essere della “stirpe” tirandolo fuori da una sacca piena di sangue, la quale si estende dalla sua vagina come una protuberanza anomala. A culminare questa grottesca inquadratura, vediamo la donna leccare il neonato: una sequenza che a quanto risulta è stata accorciata dalla censura inglese (nella versione del DVD che ho a casa, peraltro, dura pochissimo), col risultato paradossale di rendere il tutto ancora più truculento, visto che procura l’effetto ancora più disgustoso – ma assolutamente falso! – che la donna stia cercando di cibarsi del proprio figlio. Questi, per la cronaca, gli effetti ridicoli di una censura che pretendeva, oggi come allora, di stabilire cosa il pubblico potesse – e non – vedere.

La visione materialistica e anti-sistemica di Cronenberg impone, in “BroodLa covata malefica“, di profanare la sacralità presunta della scienza, la visione rassicurante della maternità e la somatizzazione delle sofferenze umane. In fondo, come si dice all’inizio del film, “la legge difende sempre la maternità“: il regista non da’ per scontato che questa sia una Verità da accettare a prescindere dai fatti, e questo bastò perchè il critico Robin Wood lo accusasse di rappresentare la crudeltà della donna in modo addirittura reazionario. Il destino degli artisti fuori dalle righe, come è Cronenberg ancora adesso, sembra che sia decisamente segnato, in questi casi.

30 secondi dopo che sei nato hai già un passato, e 60 secondi dopo già cominci a mentire a te stesso…”

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