Cosmopolis: la critica al capitalismo di David Cronenberg

Il miliardario Eric Packer attraversa Manhattan perchè ossessionato dal volersi recare dal proprio vecchio barbiere: nel farlo, vivrà un’odissea di un giorno tra proteste in città, la morte di un giovane cantante ed incontri intriganti e pericolosi.

In breve. Uno dei lavori più complessi ed impegnativi di David Cronenberg, forse dai tempi de Il pasto nudo: un criptico saggio sull’ambizione e sulla speculazione finanziaria, riuscito forse solo in parte e zeppo di dialoghi, per larga parte confinato negli spazi chiusi di una limousine o, alla meglio di un appartamento. De gustibus.

Le interpretazioni sul film si sono sprecate, ma è più opportuno guardarlo (al limite confrontandolo con il non accessibilissimo romanzo di De Lillo da cui è tratto) e farsi da sè un’idea soprattutto sui dialoghi, elemento tipico dell’intreccio ed allungati fino all’inverosimile, tanto da sembrare dilaniati. Di azione in Cosmopolis ce n’è poca, soprattutto perchè molto viene effettuato tramite tecnologia, sullo sfondo di una città caotica e dilaniata, e resta spazio giusto per qualche azione dimostrativa (i topi assumono un ruolo di rilievo, dato che rappresentano il mezzo con cui avviene la protesta contro il mondo della finanza, e tanto da essere ironicamente proposti dal protagonista come nuova valuta) e per qualche inevitabile sprazzo di violenza.

La cosa più spiazzante di Cosmopolis, che la maggioranza degli spettatori troverà indigesto, è legata non tanto al sesso meccanico ed onnipresente (sulla falsariga del nichilismo di Crash, verrebbe da dire) o all’ossessione per le visite mediche del protagonista, quanto al fatto che i dialoghi sono complessi da seguire – tanto da sembrare incompleti, o parti di una piece dell’assurdo. Questo si spiega anche in funzione dell’egocentrismo di Packer, che lavora fino allo sfinimento sul proprio io ambiguo, cinico e calcolatore. Le donne di Cosmopolis, poi, appaiono a più facce, ed il regista è ancora una volta magistrale ad esaltarne la sensualità: anche questo, nel turbine di insoddisfazione perenne, che neanche il sesso può più colmare, concorre a farne un film non per tutti e decisamente inquietante.

Troppo impegnato a speculare per concedersi mai tempo per se stesso o per una concreta riflessione (se non mediante asettici, e spesso sconclusionati, scontri dialettici con moglie, amanti, guardia del corpo e così via), Eric segue volutamente il percorso verso la propria autodistruzione, verso l’abisso della sconfitta e del fallimento, apparentemente solo per valutarne l’effetto. L’impero miliardario che ha costruito assemblando informazioni mediante anni di speculazioni, di fatto, non avrà più senso per lui. Oppure, come già in eXistenZ, sarà la percezione amplificata che hanno gli altri di lui a causarne la rovina (l’ambiguo finale si chiude sulla frase “tu dovevi salvarmi“).

In molti si sono lecitamente interrogati sul senso di Cosmopolis, che potrebbe spiegarsi in particolare nell’incontro con l’ex consulente del protagonista, che lo fulmina con la frase forse più significativa: “una volta presa coscienza, la tua vita ti appare come una contraddizione: ecco perchè stai determinando la tua rovina“. In quest’ottica, entrerebbe in gioco un’analisi del protagonista e del suo tormentato cammino interiore, che quantomeno rende l’idea del carattere profondamente “letterario” del lavoro – e per questo, si diceva prima, non sempre accessibile.

Un uomo assuefatto al proprio successo non poteva, in effetti, che terminare nella perdizione: un tema tutt’altro che nuovo in Cronenberg, che forse per la prima volta mette esplicitamente in ballo in un suo film il denaro, quale unico vero elemento di oppressione. Interessante, certo, ma resta la nostalgia per il vecchio cinema del regista canadese, quello più nitido e meno astratto (meno “alla Lynch“, magari) fatto di mutazioni, telepatia e controllo mentale – nell’attesa di togliersi il dubbio amletico se, un giorno, Cosmopolis possa rientrare nelle produzioni di culto oppure, cosa forse più probabile, si classifichi come opera che solo in pochi ricorderanno.

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