Bruce Lee – La leggenda: l’omaggio definitivo al maestro di arti marziali

Bellissimo documentario postumo sulla vita di Bruce Lee, contenente testimonianze di persone molto vicine a lui ed i mitici 36 minuti e 40 secondi originali di “Game of death“, sfruttati senza il suo consenso per creare il postumo adattamento “L’ultimo combattimento di Chen”.

In breve: utile per sapere qualcosa su Bruce Lee e la sua filosofia. Be water, my friend.

Il documentario si apre e si chiude riportando la metafora dell’acqua, una delle preferite dall’atleta-filosofo Bruce, alla base della sua personale interpretazione delle arti marziali: riassume la capacità che dovrebbe avere ogni uomo di adattarsi alle circostanze, senza limitarsi a seguire pedissequamente uno stile di qualsiasi tipo. La violenza del cinema cinese, sentiamo dire dalla vedova Bruce, è senza dubbio uno dei suoi tratti peculiari ma, al tempo stesso, nei film del mitico attore trovava sempre una giustificazione: tanto per fare un esempio abusato, nel cultDalla Cina con furore” era determinata dalla volontà di reagire ai suprusi dell’oppressore giapponese. Altro luogo comune che viene evidenziato nel documentario riguarda, poi, la distruzione dei preconcetti nazionalistici e tradizionalisti che accompagnano la classica idea di arti marziali: le due scuole di Lee, del resto, furono aperte a tutti senza alcuna preclusione di razza, come era giusto che fosse.

In questo documentario si affrontano con grande stile (ed una punta di ovvia nostalgia) gli aspetti legati alla concezione cinematografica di Bruce Lee: egli in effetti sembra vedere la pellicola come un mezzo per comunicare la propria filosofia di fondo, fuggendo dagli odiosi stereotipi anti-orientali che lo avevano spinto ad abbandonare temporaneamente il mondo di Hollywood, da sempre attento a promuovere – per ragioni di marketing – anonimi protagonisti “biondi e dagli occhi azzurri”. Bruce si distaccò da tutto questo, producendo orgogliosamente due film leggendari in quel di Hong Kong (di cui uno da regista), e culminando nel mitico “I tre dell’operazione drago”. Il documentario nasce, in questo caso, dal ritrovamento da parte del regista-giornalista John Little del girato originale di “Game of death“: l’istrionico Lee aveva previsto 12 pagine di sceneggiatura, regia, interpretazione e tutto il resto, girando in modo maniacale quelle sequenze (incomplete) che vediamo integralmente verso la fine del documentario. All’interno di “Game of death“, inoltre, si riscontra la tuta gialla a bande nere, simbolo di una sostanziale non appartenenza ad alcuna scuola predefinita, che Tarantino farà indossare a Uma Thurman in “Kill Bill”.

Bruce: “Perchè combattere ancora? Lasciami passare”
Jabbar: “Ti sei dimenticato che anch’io non ho paura della morte?”

La storia originale di “Game of death” racconta del protagonista (Lee) inviato a compiere una missione impossibile dopo che gli vengono rapiti moglie e figlia: si tratta di attraversare i cinque piani di una pagoda, proprio di fronte ad una gigantesca statua del Buddha. L’eroe viene accompagnato da due ambigui personaggi, costretti assieme a lui a fronteggiare un diverso nemico su ogni piano, uno più temibile dell’altro. Tra gli altri, spicca l’intervista al gigante Kareem Abdul-Jabbar, attualmente giocatore di basket NBA ed interprete del quasi-disumano Hakim, l’avversario che attende Bruce nell’ultimo piano della pagoda: l’apertura delle finestre della stessa per far penetrare la luce nella stanza ed annichilire completamente il bestione assume quindi una valenza molto metaforica legata alla riscoperta della luce e, quindi, della conoscenza del proprio io.

Del resto l’idea di Lee era quella di far passare il modello vincente legato ad un personaggio abile con le arti marziali ma libero da qualsiasi preconcetto o “scuola” predefinita: dotato quindi della stessa flessibilità, quindi, della frusta di bambù che tiene in mano nel fronteggiare il maestro armato di nunchaku.

Un documentario indispensabile per conoscere a fondo le idee del personaggio e godersi appieno i film che è riuscito a realizzare.

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