Continua il viaggio alla ricerca di vendetta di Beatrix Kiddo, contro avversari ancora più temibili.
In breve. Tarantino omaggia i film di arti marziali di ogni ordine e grado, proponendo un kolossal del genere: fantasioso, ricco di violenza e colpi di scena.
Kill Bill nelle intenzioni iniziali di Tarantino avrebbe dovuto essere un kolossal epico di circa quattro ore, idea forse considerata incompatibile con la sostanza da kung fu movie (e che solo in seguito venne adottata spudoratamente, ad esempio nell’interminabile in The Hateful Eight). Proprio dal western e dalla sua ambientazione desertica, lugubre e desolata trae spunto l’inizio di questo Vol. II, incentrato su vari episodi tra cui la ricostruzione di quanto avvenuto nel primo episodio: la rivelazione del volto di Bill, la definizione del suo rapporto con Beatrix (il suo nome continuerà ad essere ironicamente censurato da un “beep” per larga parte dell’opera), la caccia all’uomo avviata dalla Sposa alla ricerca degli altri aguzzini che le hanno portato via, d’un colpo, futuro sposo e figlio. Le differenze col primo sono lampanti, insomma: se il primo è un omaggio al kung fu movie nella sua totalità, il secondo è decisamente più cupo e, se vogliamo, anche più occidentale.
Se citare e raccontare l’influenza dei western all’italiana è un obbligo morale in questi casi, meno ovvio (a mio avviso) è ripensare (e magari rivedere) lo splendido e meno conosciuto Oro Hondo – Se sei vivo spara, il western di Giulio Questi che, per sostanza e per narrativa, potrebbe avere più di un punto in comune con la storia raccontata da Tarantino. Un parallelismo tra Hermano, tradito dai suoi compagni dopo una rapina, dato per morto e alla ricerca dei suoi aguzzini e Beatrix Kiddo, a questo punto, non dovrebbe sembrare più fuoriluogo di accomunarla alla protagonista del cult Thriller – A Grim Film.
Scompare il Pussy Wagon, in questo episodio, lo stesso che Quentin Tarantino teneva parcheggiato sotto casa per promuovere il film all’epoca della sua uscita, e si presentano (al netto delle consuete scorribande di graphic violence e splatter) dialoghi più insistiti di quanto non avvenisse prima. Vedi, ad esempio, la magistrale sequenza che presenta il cinico e menefreghista Budd, fratello di Bill e tra i responsabili del massacro. La sequenza è perfetta da vari punti di vista: in pochi minuti, infatti, senza fronzoli nè lungaggini, vediamo la sua storia, i suoi problemi sul lavoro e la sua sostanziale negligenza caratteriale. Al tempo stesso, pero’, Budd non è uno sprovveduto, ed è il primo personaggio dell’episodio a creare problemi alla protagonista: la sequenza dell’assalto col fucile caricato a sale coglie di sorpresa chiunque, alla prima visione, ed è solo l’inizio di un climax che culminerà con un vero e proprio incubo fulciano.
Non essere uccisa o torturata, bensì sepolta viva: una sequenza che richiama apertamente quella, ormai famosa, di Catriona Mc Coll in Paura nella città dei morti viventi. La fuoriscita dalla tomba grazie ad una tecnica di arti marziali è potentissima, liberatoria quanto evocatrice, anch’essa, dei film di morti viventi di ogni ordine e grado: quella mano che fuoriesce all’improvviso dal terreno, per incisa, l’abbiamo vista decine, centinaia di volte in altrettanti zombi-movie, per quanto non sia ovvio accostarla a quel genere di cinema in questo contesto. Conosciamo, inoltre, la figura mistica di Pai Mei, l’uomo più forte al mondo, il maestro di arti marziali di Beatrix e possiamo anche assistere alla sua formazione, al suo addestramento durissimo al cospetto di questo incredibile personaggio.
Esistono vari episodi postumi legati a questo episodio di Kill Bill: si scoprì, ad esempio, solo nel 2018 che la Thurman ebbe un incidente girando una scena in auto, che avrebbe dovuto realizzare lo stuntman (assente in quel momento). Tarantino convinse l’attrice a girare personalmente quella scena, valutando (male) la sua pericolosità effettiva: come risultato l’attrice ebbe un incidente schiantandosi contro un albero, e richiedendo poi il footage video come prova per ottenere un risarcimento dall’assicurazione. Harvey Weinstein, per tutta risposta, si appellò al contratto firmato dall’attrice in cui si sollevava la compagnia da qualsiasi responsabilità, incrinando i rapporti sia con Tarantino che con l’ex produttore cinematografico (accusato di molestie verso la Thurman, come se non bastasse). Ci vollero anni, poi, perchè il rapporto tra regista ed attrice potesse tornare alla normalità, soprattutto quando fu lo stesso Tarantino a reperire quel filmato e darlo all’attrice, sostenendola a denunciare ciò che, nel frattempo si stava svelando attorno alla figura di Weinstein – accusato di stupro ed abusi da parte di numerose altre attrici.
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon