Nel 2037 i consumi di energia sono diventati un problema su scala mondiale, al punto che la corrente elettrica e i trasporti motorizzati non possono più esistere. Sono i presupposti da cui parte il singolare – e poco citato – film di Pasquale Festa Campanile del 1975, con un titolo che è un vero e proprio manifesto programmatico: Conviene far bene l’amore. Un suggerimento, un’idea buttata lì, un modo per rendersi utile al prossimo, forse. Si deve fare così, e tutto sta nel chiedersi: perchè conviene?
C’è un aspetto puramente sensuale, alla base, nella scelta: fare sesso in modo attento e soddisfacente per il proprio partner aumenta l’autostima e riduce fastidiose conflittualità, in alcuni casi. Fa star bene con se stessi, crea appagamento non ottenibile per altre vie, migliora l’umore ed è una parte importante della vita di ogni essere vivente. Permette di dare espressione ad emozioni sepolte dentro di noi che, in ogni caso, non svanirebbero in nessun caso, ricorda Freud. Ma la sceneggiatura del film si spinge oltre: immagina che il sesso possa risolvere il problema della produzione di energia, affidata allo sfruttamento di beni limitati come petrolio e carbone, e ponendosi come divertente metafora green per la creazione di un nuovo mondo. Un mondo alimentato a suon di amplessi, letteralmente, che sarà la prima conclusione a cui arriverà il film.
Conviene far bene l’amore andrebbe analizzato nelle tre parti che sembrano comporlo, al fine di comprenderne la portata. All’inizio vediamo persone del mondo moderno che si spostano esclusivamente su risciò, carrozze e cavalli; nel frattempo un gruppo di scienziati è alla ricerca di un metodo alternativo per produrre l’energia che manca. Avendo esaurito le risorse disponibili, evidentemente, l’umanità è stata costretta a fare un passo indietro e ad affidarsi alla ricerca per trovare metodi alternativi. Oggi parleremmo quantomeno di pannelli solari e fotovoltaici, qui la sceneggiatura immagina che siano gli umani stessi a produrre l’energia necessaria. Tra gli scienziati si distingue il professor Enrico Coppola (interpretato da Gigi Proietti), capo di un team di ricerca in ospedale che – a partire dalle idee del galvanismo – sembra essere vicino a scoprire un metodo per convertire il calore emesso dagli esseri umani e trasformarlo in energia riutilizzabile. Il problema è che i watt emessi nelle circostanze biologiche standard non bastano, a meno che – si scopre – non si tratti di effusioni, carezze e naturalmente amplessi.
È questa, in sintesi, la trama di questo singolare film di fantascienza di metà anni Settanta, tratto dal romanzo omonimo e incentrato su toni grotteschi e fantascientifici. Un genere che in Italia ha prolificato parecchio, il grottesco, andando a nozze sia con l’horror (Hanno cambiato faccia) che con le regie collettive (Signore, signori, buonanotte), in effetti di rado con la fantascienza – ma generando un filone certamente appassionante, costellato di allegorie politico-sociali e anche, come non viene mai abbastanza sottolineato, piuttosto originale.
Di per sè Conviene far bene l’amore potrebbe sembrare una commedia erotica all’italiana come tante: fin dai primi minuti ogni circostanza è valida per creare una situazione sessualmente allusiva o appetibile e, soprattutto all’inizio, il sesso viene presentato come un qualcosa che si mostra a scopo rigorosamente scientifico. Questo fa ridere di riflesso, naturalmente, e crea i presupposti per sintonizzarsi con i toni utilizzato. Scopriamo che Enrico è un piccolo mad doctor che crede molto nella propria ricerca, che si scoprirà usare anche come paravento per dissimulare i propri problemi di astinenza sessuale (ha una relazione con una moglie con cui costituisce, come si direbbe oggi, una coppia bianca). Da questo punto di vista la regia è sorprendentemente avanti coi tempi, perchè non solo usa il sesso in termini rivoluzionari per scuotere il moralismo del pubblico, ma riesce a interpretarlo in senso politico-sociale come elemento vitale per il progresso e l’evoluzione della specie.
Il ruolo di Proietti è altresì magistrale nella sua doppiezza di fondo: da un lato si ostina a vivisezionare nudi e amplessi vari, rendendoli materia di un grottesco studio con tanto di colleghi seriosi e infermiere sexy, dall’altro vive il suo lavoro da voyeur e vi ha seppellito un malessere represso che – almeno all’epoca del film – risiedeva in una morigeratezza di stampo prettamente cattolico. Quel malessere esistenziale – quello di chi non fa sesso come vorrebbe, di chi si limita a vedere gli altri farlo o di chi cerca disperatamente l’amore senza trovarlo – è estendibile all’umanità intera, è un valore universale che rende l’idea della lucidità di un film, a dirla tutta, per certi versi ingenuo in alcune rappresentazioni – quanto, a conti fatti, allineato alla realtà in cui viviamo.
Inizialmente privi di significato, i nudi e le allusioni più o meno esplicite servono a costruire delle maschere – si tratta di una Commedia classica anche in senso teatrale, come evidente dal passaggio dall’ospedale all’albergo con tutti i personaggi che si travestono. E non possono mancare i personaggi macchietta, dall’infermiera svampita e sessualmente emancipata (Eleonora Giorgi) alle figure dei ministri irreprensibili e, in realtà, più viziosi che mai.
Il film cambia tono con un primo twist, nel quale al protagonista viene in mente di far rapire rocambolescamente sia il direttore di un hotel dai gusti poliamorosi (Cristian De Sica) che una casalinga molto attiva sessualmente (Agostina Belli). Ora tocca allo staff medico cercare di favorirne la copulazione, mettendoli nello stesso reparto e lasciandoli… entrambi senza vestiti (una ennesima forzatura nella trama che, ovviamente, rimane funzionale al contesto). Qui emerge l’aspetto sociologico in modo imprevedibile: la scienza non può causa l’amore nè indurre attrazione sessuale, perchè i metodi “stimolanti” che vengono propinati alla coppia-cavia sono improbabili oltre che disfunzionali (gli fanno ascoltare Bach, gli procurano una copia del kamasutra che ne provoca semplicemente l’ilarità). Se il determinismo sessuale fallisce, in altri termini, o – se preferite – se diamo per buono che la scienza non possa generare nè catalizzare amore e sesso, sembrerebbe che gli stessi siano definibili solo in termini di imprevedibilità, mutevolezza, infedeltà, capriccio, umanità – alla meglio, teoria della probabilità.
L’ultimo aspetto interessante del film è che il soggetto si basa quasi interamente sulla teoria dell’orgone formulata da Wilhelm Reich nel suo celebre saggio La funzione dell’orgasmo. È raro che un film si basi su un saggio in maniera così sostanziale, perchè non si tratta solo di farlo vedere in camera (come fa Enrico) per darsi una parvennza, ma di usare il celebre psicoanalista come vera e propria “guida spirituale” del film. Secondo il “pensiero funzionale” di Reich, infatti, è indispensabile considerare come elementi attivi di una valutazione psicologica dell’individuo il mondo che lo circonda, le differenze di classe, le condizioni in cui è cresciuto (ad esempio la povertà o la ricchezza), e il fatto non da poco che l’ambiente esterno e le sue condizioni degradate potrebbero inficiare il suo benessere fisico. Sulla falsariga di Marcuse in Eros e civiltà, del resto, il film adombra il dubbio che la repressione sociale e quella sessuale siano legate tra loro, senza contare che l’atteggiamento degli scienziati che analizzano gli amplessi per generare energia sfruttabile sembra suggerire come successivo step l’osservazione partecipante di Malinowski, che è un’associazione ovviamente grottesca quanto in linea con i toni del film. L’orgone – a cui fa riferimento la fantomatica macchina orgonica che si vede più volte nel film, in sostanza un “accumulatore di energia dell’amplesso” – è un concetto derivato dalle teorie di Reich oggi considerato pseudoscientifico, il quale avrebbe ovviamente a che vedere con l’orgasmo.
Nonostante il rischio fosse quello di esacerbare l’aspetto sessuale della storia – o peggio renderlo un mattone politico-sociologico perlopiù indigesto – la regia trova un equilibrio di sostanza, di forma e di contenuto, e crea un film gradevole, divertente, significativo nel finale (nel quale addirittura la moralità della chiesa viene sovvertita, e si passa dalla sobrietà assoluta all’intemperanza, dove il sesso diventa praticamente un dovere e questo, naturalmente, gli fa perdere la sua valenza esplosiva. L’ulteriore twist che vale la pena sottolineare è che l’unico sesso che produce energia sfruttabile è quello privo di sentimento, e questo porta ad industrializzare gli amplessi (nelle fabbriche di produzione, ma anche per far muovere treni ed aerei) vietando, di fatto, effusioni romantiche ed idealizzate. Non è diverso, a pensarci, da parte del mondo in cui viviamo, quello immerso nell’edonismo perenne e nella necessità social di mostrare a tutti ciò che si fa – non di rado, anche in ambito sessuale. In questo, si può dire che Conviene far bene l’amore è stato anche un film profetico, anche se in tempi di polarizzazioni, imbonitori e guru di internet questa parola sta assumendo una connotazione più che altro qualunquista (cosa che questo film non possiede, per inciso).
Resta vero che Conviene far bene l’amore – visto oggi – fa sorridere per l’eccessiva facilità con cui ci si spoglia o per l’implausibilità di alcune situazioni – situazioni che potrebbero essere considerate quasi da cine-panettone, per certi versi. Il ruolo di De Sica sembra determinante a questa latitudine, così come alcune gag che sono ancora embrionali ma che sarebbero state riutilizzate e scopiazzate all’infinito in molte (troppe) altre commedie. Del resto si dovrebbe andare oltre le scene di nudo e lo slapstick che tendenzialmente le caratterizza: nel film va sottolineata, soprattutto, la descrizione della nevrosi di massa che sembra affliggere l’umanità, all’epoca dell’uscita sicuramente repressa – e con qualche difficoltà a parlare apertamente di sesso. Vero anche che fioccavano le commedie all’italiana, propense più che altro a consolidare l’immaginario eteronormativo del cinquantenne circondato da ventenni ovviamente disinibite e disponibili. Modello da cui la regia decide anarchicamente di distaccarsi, e – al netto di quanto sottlineato – di costruire una delle commedie sexy più personali e centrate mai girate in quel periodo.