Una ragazza di un collegio cattolico londinese viene ritrovata uccisa sulla riva di un lago; un professore (Fabio Testi) si trovava lì in barca assieme ad un’altra alunna, con cui ha intrapreso una relazione clandestina, e la ragazza sostiene di aver visto una lama infierire sul corpo di una vittima. Presto i sospetti convergono inevitabilmente sul protagonista, ma la realtà è decisamente più complessa di quanto possa sembrare…
In due parole. Giallo all’italiana accattivante e di buona presa sul pubblico, che rivede vari sterotipi del genere senza mai eccedere in sangue o violenza esplicita; buon ritmo, anche se tirato un po’ per le lunghe, basata sull’ambiguità di svariati personaggi apparentemente puliti (quando non perfettamente candidi) che nascondono in alcuni casi orribili segreti. La trama mostra apparentemente qualcosa in comune con “Non si sevizia un paperino” ma, a ben vedere, si tratta solamente di suggestioni. In definitiva uno dei migliori gialli all’italiana (assieme a “Mio caro assassino“) uscito durante il periodo d’oro del genere.
Dallamano firma complessivamente un buon giallo, che possiede come principale difetto il titolo che gli è stato appioppato in italiano, decisamente poco efficace e che rischia di far pensare ad una trashata di terz’ordine senza capo nè coda. Eppure si tratta di un thriller nostrano decisamente ben riuscito, con buone interpretazioni sia di Fabio Testi che dell’irreprensibile (e al tempo stesso affascinante) Karin Baal, nei panni di una moglie in crisi matrimoniale. A tal proposito bisogna premettere che quest’ultimo personaggio viene sviluppato con le giuste differenze rispetto ad altre circostanze sceniche simili: non può che venire in mente, a riguardo, la crisi della coppia de Quattro mosche di velluto grigio. Questo per dire a chiare lettere che questo film non ricade nel “già visto” o “già sentito”, e questo sia a livello di trama – un soggetto ispirato al romanzo The Clue of the New Pin di Wallace – che di messa a punto scenica. “Cosa avete fatto a Solange“, che è anche la domanda fatidica da porsi nel momento clou della pellicola, rielabora sapientemente gli stereotipi del genere, confinando pero’ solo in parte il senso di noia che pervade lo scorrimento della storia nella sua parte centrale.
Nulla pero’, a ben vedere, è scopiazzato, gratuito o senza alcun mordente, a cominciare dall’individuazione dell’assassino – che è quanto di meno scontato possa venire in mente allo spettatore – a finire con la caratterizzazione sempre azzeccata dei personaggi. Le varie ninfette protagoniste, ambigue quanto basta, finiscono per essere la vera chiave di volta della storia, la quale si propone in tutta la sua interezza solo a pochissimi minuti dalla fine sfruttando una sorta di “finale ad incastro” emulo di un meccanismo giallistico da manuale. Nulla che si possa realmente criticare, quindi, per quanto riguarda questa pellicola, che vede tra le interpreti le giovani Christine Galbo e la Kamille Keaton (pronipote del grandissimo Buster) che molti ricorderanno per il successivo (e controverso) “I spit on your grave” (anche in quel caso con un titolo italiano stramboide come “Non violentate Jennifer“). A completare il “pasto” si presentano diverse scene di nudo femminile, ripetuto e forse un po’ ostentato in vari momenti (brevi) della pellicola, probabilmente più per renderne appetibile la visione che nella reale consapevolezza di stare (re)inventando qualcosa. Senza che questo voglia minimamente sminuire una pellicola solida ed interessante, “Cosa avete fatto a Solange” rimane come un oggetto cinematografico di culto ancora oggi quantomeno per gli appassionati del genere.
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