In un futuro molto lontano la vita degli umani si è spostata fuori dalla Terra, ed è ordinario il rapporto con razze aliene: la nobile casata degli Atreides riceve dall’Imperatore in persona il controllo del pianeta Arrakis (detto anche Dune), nota per la “spezia” che contiene in grande quantità. Una polvere presente nella sabbia ritenuta sacra dai nativi di Dune (Fremen), dagli effetti allucinatori.
In breve. Torna Dune nelle sale, dopo la mini-serie ed il film diretto da David Lynch. L’ispirazione non manca, le idee abbondano ma la sensazione complessiva non sembra, ad oggi, esaltante.
Girato con un budget di 165 milioni dollari tra gli Origo Film Studios di Budapest e la Giordania, le riprese del nuovo Dune risalgono al 2019, tanto per annoverarlo – per piacere di cronaca – tra uno dei tantissimi film la cui uscita è stata ritardata dalla pandemia. Come già nel caso di Blade Runner 2049, Villeneuve affronta l’impresa con una sostanziale intraprendenza, rielaborando la trama di una delle opere considerate virtualmente madre della saga di Star Wars. Lo fa con mezzi e modi propri, sfruttando una regia ricca di personalità, che non risparmia certo sugli effetti speciali e sui panorami mozzafiato, ma che pecca di ritmo e probabilmente diluisce troppo la storia (e questo è solo il primo di almeno un altro episodio).
Villeneuve dirige con grande stile, pensa il film in grande e lo realizza sulla falsariga delle interminabili saghe da cine comics, con miriadi di personaggi caratterizzati, combattivi quanto di diverse gradazioni di umano. Resta una delle trasposizioni cinematografiche più difficili di sempre, del resto, tanto che la storia non aveva lasciato il segno neanche con la regia di Lynch dei “tempi d’oro”. Senza riprendere l’annosa discussione sulla qualità di quel lavoro, a questo punto, diciamo che l’opera di Villeneuve è diversa ed ambisce apertamente ad essere qualcosa di diverso.
Dune (in originale Dune: Part One) riprende elementi di fantascienza epica in modo fedele alla storia originale, liberandola di gran parte del misticismo lynchiano che caratterizzava la sua versione più nota al grande pubblico (che fu causa di critiche feroci e, per dirla brevemente, non venne capito quasi da nessuno) per concentrarsi sull’intreccio, fatto di passioni, tradimenti, combattimenti e fedeltà. Dell’effetto psichedelico della spezia rimane poco, o meglio: sembra quasi incidentale rispetto alla storia, neanche troppo indispensabile, e quelle che sembravano profezie sono forse solo messaggi dall’altrove, allucinazioni o il sempiterno compimento del destino (e non fate gli spiritosi aggiungendo a quest’ultima frase “Luke Skywalker”). In Dune avviene ciò che deve avvenire, in effetti, e questo comporta una lunghezza abbastanza borderline (155 minuti di film).
Di base, obiettivamente, il film è godibilissimo, anche se non ha il dono della sintesi, cosa peraltro abbastanza difficile da aspettarsi per una delle opere di fantascienza classica forse più intricate di sempre. L’impressione è anche quella di assistere alle vicende di una serie Netflix media, per come è l’andazzo attuale, che diventa “cinema” solo in alcune fasi – e in molte altre, semplicemente, annoia e ti spinge quasi a cercare il pulsante di pausa per continuare a vedere il tutto in un altro momento. Insomma, c’è forse un problema preciso in questo Dune ed è il format, troppo sovraccarico di dettagli, personaggi, scontri epici e caratterizzazioni.
Del resto non può sorprendere il successo riscosso in termini di pubblico, dato che si tratta di una storia che ha ispirato grandemente George Lucas, e la critica in effetti non sempre è stata clemente con l’opera. Viene anche da chiedersi se fosse un buon momento per riproporre Dune, in tempi “dopati” (per così dire) dalle narrazioni-fiume da serie in n-mila puntate e spinoff al cubo, roba per cui avevamo biecamente preso in giro Brooke Logan di Beatiful. Narrazioni chilometriche del genere, nella mia personale idea, nulla aggiungono e nulla tolgono da un punto di vista artistico, perchè (a dirla con rispetto, ma con un pizzico di malizia) allungare è sempre più conveniente di comprimere, almeno produttivamente parlando.
Se non altro, Villeneuve si affida alle musiche di Hans Zimmer, che rappresenta una delle vere note di merito del film: particolarmente azzeccate nel sottolineare i vari momenti, senza dubbio. Del resto parliamo di un gigante: sue le musiche, tra gli altri, di Batman Begins, Chiedi alla polvere, Il cavaliere oscuro e Thelma & Luise. Per il resto si dipana, sia pur in una fotografia splendida (a volte nitida, altre polverosa e oscura) una trama fatta di molteplicità di personaggi, relazioni tra gli stessi, l’interesse per la “spezia” che domina, i colpi di scena e circa tre o quattro pianeti diversi coinvolti nella vicenda.
Valgono anche le osservazioni fatte per la riproposizione di Blade Runner dello stesso regista: chiariamo, nessuno si sarebbe mai aspettato un calco fedele modello Funny Games 1997 / 2007, ma la sensazione fastidiosa in vari momenti di quest’opera è che non si riesca a fare a meno delle scazzottate da telefilm anni ’80, degli scontri all’arma bianca buttati in ogni dove. Da un altro punto di vista il mondo che risulta è anche visivamente interessante e originale: resta pero’ la considerazione che proporre nel 2021 inoltrato un film che ricorda l’ennesimo episodio di Star Wars lascia qualche dilemma in sospeso. Per il resto quel mondo ci piace pure: ci sono astronavi ma non gli schermi, a momenti sembra un mondo dell’antico egitto trasposto nel futuro – mancano i letti futuristici immaginati da chiunque nella sci-fi anni ’60 – si dorme in stanze poco illuminate, le parate degli eserciti sono identiche a quelle delle dittature totalitarie del pianeta terra. Poi per carità, si viaggia tanto nello spazio, pero’ si lotta quasi esclusivamente a pugni & pugnali. Sorvoliamo infine sul fatto che, ovviamente, tutti o quasi siano esperti di arti marziali: signora mia, nel 10.191 non si può manco uscire tranquilli per fare una passeggiata.
Sull’anno di ambientazione di Dune, peraltro, vale la pena spendere due parole: la storia ha luogo, stando alle didascalie, nell’anno 10,191 After Guild (AG) rispetto al Calendario Standard Universale (USC), dettagli chiaramente ripresi dal romanzo “enciclopedico” di Frank Herbert. Qualche fan si era divertito a calcolare l’equivalente in anni “terrestri”, e -senza considerare gli anni bisestili che sennò non ne usciamo, con il calcolo – dovrebbe trattarsi dell’anno di grazia 23.352 d.C. (tra 21.331 anni, per chi fosse interessato alle suggestioni).
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon