Grand Hotel Excelsior era il cult di Castellano e Pipolo uscito nel 1982, giocato su un umorismo schietto, senza fronzoli e dai tratti surreali, oltre che precorritore di carovane di personaggi assurdi, macchiettistici, italiano-medio – tra cui naturalmente il mago di Segrate interpretato da Diego Abantantuono. Tra gli ospiti dell’hotel del film troviamo infatti il famoso “Mago di Segrate”, un mago autodidatta dotato di straordinari poteri paranormali, tra cui quello (gettonatissimo anche oggi, a giudicare dal successo dei cartomanti online) di prevedere il futuro di alcune persone, oltre a indovinare l’esito di un incontro di boxe.
Oggi il “pubblico” che assiste a qualsiasi film (inclusi quelli delle vite dei popoli, ci viene da scrivere) lo osserva mediante internet. Nel film i poteri reali del mago rimangono in forte discussione per scopi grotteschi, ma il personaggio finisce lo stesso per conquistare il pubblico per il modo in cui viene costruito e per come presenta le cose – tanto che, ci verrebbe da scrivere, potremmo arrivare proporre una fenomenologia del mago di Segrate per la comunicazione sul web.
La fenomenologia del Mago di Segrate potrebbe offrire un approfondimento interessante su come, alla lunga, le abilità magiche possono influenzare la percezione e la cognizione umana, oltre ad esplorare il significato culturale e storico di tali abilità. In particolare quella annessa alla lievitazione, che si vede verso la fine del film – quando il mago decide di eseguire una autentica levitazione dal balcone della sua camera, davanti a un pubblico entusiasta.
La gioia e l’ammirazione sono di breve durata, nonostante tutto: l’assistente del mago, Ginevra, nel momento in cui si complimenta per la sua impresa, gli dà una pacca sulla spalla con un po’ troppa forza, che lo fa perdere l’equilibrio e cadere dal balcone, finendo così in ambulanza.
I social hanno invaso le nostre vite private e produce una moderata indignazione, per dirla con un eufemismo, che i loro meccanismi siano ancora oggi poco comprensi e inquadrati dai più come qualcosa di esoterico. Perchè è inutile girarci attorno: quella del mago di Segrate voleva essere solo un’immagine suggestiva per mostrare l’idea che oggi, nonostante la mole di dati gigantesca con cui dobbiamo avere a che fare ogni giorno, nostro malgrado, dopo miriadi di spiegoni e di tomi che hanno spiegato in lungo e in largo il fenomeno della gestione “allegrotta” della privacy sui vari strumenti social, tutto sommato è “accettabile” scrivere che:
i social “leggono nel pensiero”
cosa che evidentemente rende l’idea e serve (si spera per loro) ad attirare qualche click in più.
Strano a dirsi, ma questa è (articoli di settembre 2023).
Nessun blog, nessuna testata è veramente immune al clickbait, per cui lungi da noi, sia chiaro, fare moralismo fine a se stesso per questo genere di scelta: del resto va detto non c’è lettura nel pensiero, signori, ci sono big data e analisi statistiche in ballo, oltre a numerosi bias psicologici che ci fanno sentire ancora più osservati del dovuto (il fenomeno più noto a riguardo è quando leggi qualcosa su internet e pensi che si rivolga automaticamente a te).
Non vogliamo nemmeno minimizzare la portata dello spionaggio social, che peraltro sosteniamo non da oggi (da molto prima che diventasse una fissazione come un’altra per fan rossobruni e luddisti “le tecnologie sono il male“): ci piacerebbe, più che altro, che quei titoli (peraltro cappello di contenuti quasi sempre dettagliati e dignitosi, non è questo il punto) rischino di diventare l’espressione dell’epistemologia del Mago di Segrate, chie fa capire le cose a modo suo, fa ridere un po’ tutti (e nessuno ci crede sul serio, si spera) eppure tutti gli danno retta, in mancanza d’altro.
Alzi la mano chiunque non sia incappato nella discussione con una persona qualsiasi che riteneva seriamente di attribuire poteri sovrannaturali al proprio smartphone, ad esempio. Se è vero che la quantità di dati personali trattati dall’IT è ultra-industriale, si potrebbe anche sostenere che nessuno è obbligato a stare sui social e tantomeno è obbligato (per quanto le condizioni contrattuali siano sempre più stringenti) a fornire dati reali agli stessi. Si potrebbe anche discutere sul fatto che non è affatto ideale fare uso di questi strumenti se davvero ci sentiamo come lo scarico di un lavandino in cui finisce letteralmente tutto.
Rispondo sempre, in questi casi, che non si tratta di magia, magari fosse così semplice: magia in effetti sarebbe una spiegazione chiusa e ben definita (se ovviamente la scienza riuscirà mai a spiegarla, s’intende). Il punto è che promettere anche di magico a spiegazioni che sono ben note da tempo, significa anche sospettare che parlare di big data e di inferenza sui dati sia troppo per il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo, E a qualche malizioso potrebbe venire il sospetto che si tratti di insopportabile snobismo. Ne stavo giusto parlando con un amico su WhatsApp, prima, sottolineando peraltro come – a mio umile parere – la migliore scrittura è sempre quella che spiega le cose difficili in modo semplice. Quello che forse dovrebbero fare quegli articoli, o altri che ne usciranno. Senza mai usare parallelismi con la magia e con i maghi di Segrate, se possibile.
Stiamo peraltro imparando a nostre spese che le spiegazioni delle “cose” – le cose di cui si occupa la fenomenologia, di per sè: comprensione della coscienza e dell’esperienza umana – sono quasi sempre complesse, niente è mai causa di tutto, non è mai colpa di X (con X singoletto), e soprattutto sappiamo bene che constatare la complessità del mondo crea scompensi notevoli ad alcuni: negazionismo, complottismo, cecità al cambiamento ostentata come la tessera di un partito politico. Che finisce anche per svilire la nobiltà degli intenti di chi vorrebbe denunciare le violazioni della privacy, che non dovrebbe fare appello ad allegorie fantasmologiche, sortilegi o fatture (se non in senso fiscale: gran parte dei social network si affida a data broker per rivendere i dati che volontariamente ci chiedono, come spiegato in quel primo articolo del Corriere dove, purtroppo, rimane il difetto di fondo dell’aver voluto fare uso dell’immagine impropria della “lettura nel pensiero”, nè più nè meno che attribuire il moto di un’automobile al turco meccanico).
Se il concetto di “lettura del pensiero” può sembrare affascinante o misterioso, in definitiva, spesso le spiegazioni razionali si basano su processi cognitivi e comunicativi ben compresi, tutt’altro che noiosi o incomprensibili (breaking news: si possono divulgare tranquillamente a scuola e nei corsi di formazione per chiunque), il che sarebbe preferibile per limitare allarmismi ed isterie (una cosa di cui non abbiamo bisogno, nel contesto attuale). Le aziende che gestiscono i social sono più mentalisti che altro, al giorno d’oggi. Il mentalismo, lo ricordo, è un tipo di performance in cui il mentalista fa sembrare di avere la capacità di leggere i pensieri, mentre sta usando tecniche consolidate di cold reading, suggestioni, bias psicologici e chi più ne ha, ne metta.
Non che uno debba conoscere per forza queste cose, però almeno dotarsi della capacità di razionalizzarle, visto che parliamo di tecnologia e non di magia, sarebbe molto meglio.
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon