Fresh è una piramide alimentare basata sulle donne

Sono certa che spesso a chiunque di noi (a me tantissime volte) sia capitato di mettersi davanti allo schermo della televisione, del pc o semplicemente dello smartphone per scrollare i nuovi film usciti e pensare “Che noia, ci vorrebbe proprio qualcosa di nuovo!”. Qualcosa di fresco, forse? Perché se parliamo di freschezza allora Disney+ ha aggiunto nel proprio catalogo proprio ciò di cui avevamo tutti bisogno. Sto parlando di Fresh, opera prima della regista Mimi Cave, con Sebastian Stan e Daisy Edgar-Jones protagonisti. 

Sebbene la campagna pubblicitaria attorno il film e la breve sinossi che ne accompagnava la distribuzione abbiano contribuito a dare a chi ancora non si era apprestato alla visione uno spoiler gigantesco (sono certa infatti che molti di voi abbiano visto su Instagram la foto della mano di donna con unghie laccate di rosso avvolta dal cellophane come fosse un coscio di pollo), il film riesce a funzionare. Anzi, forse è stato proprio questo meccanismo “spoiler allowed” a invogliarmi a vedere Fresh; in fondo, di fronte a ciò che ci piace siamo persone deboli: chi per un bel taglio di carne, e chi invece, come la sottoscritta, per una bella grafica pop e catchy.

Come si suol dire, nomen omen: Fresh è un’opera freschissima che, come da tradizione, mette al centro della narrazione un elemento portante del cinema horror, ovvero le donne, fondamentali nel lungometraggio di Cave.

Daisy Edgar-Jones interpreta Noa, una ragazza molto giovane che si barcamena tra un appuntamento online e l’altro: filosoficamente parlando, Schopenhauer avrebbe detto che la sua vita oscilla tra uno swipe right e uno swipe left. Si sa, ormai è convinzione diffusa che gli incontri online possano nascondere delle insidie, ma Noa si mostra subito ben attenta all’ambiente che la circonda, sia su internet che fuori dalla rete: è consapevole di essere una potenziale preda in pericolo e cerca continuamente di sopravvivere.

Il giorno in cui abbassa la guardia incontra Steve, che la abborda nel reparto ortofrutta di un supermercato. Un tipo di incontri a cui ormai non siamo più abituati e che rappresentano quasi una novità in un’epoca circondata dai display e che ci sembrerebbe inquietante: dai, sto decidendo se farmi le patate al forno o la caprese per cena, ma tu proprio stasera dovevi provarci? Ma Noa non la pensa così, evidentemente (e comprensibilmente) rapita dal fascino di Sebastian Stan, che grazie alla sua affabilità fa presto breccia nel suo cuore. Le cose però degenerano presto, e l’orrore ha inizio.

Si è detto che Mimi Cave abbia voluto porre gli spettatori, e in particolare le spettatrici, davanti al pericolo degli incontri online, ma io la penso diversamente: sembra infatti che, laddove app come Tinder e simili vengono continuamente demonizzate, gli incontri in real life siano l’unica opzione sicura e raccomandabile al 100%, soddisfatti o rimborsati, per incontrare la persona della propria vita, quella che non ha strane intenzioni e che di certo non rappresenta un pericolo. Di questa retorica sono ormai piene le cronache (e, guarda caso, i commenti sui social network) e la regista decide di smontarla completamente e capovolgerla, mostrando che i pericoli che circondano le donne non sono solo virtuali ma anche reali.

Interessante è comunque la rappresentazione che Cave fa degli uomini che popolano le chat di incontri: il trionfo dello scontato e dei luoghi comuni, delle frasi a effetto che fanno da corredo ai post di Facebook con la foto di Vin Diesel, in cui non manca mai un po’ di sana misoginia e cultura del possesso, e per finire in bellezza le immancabili dick pic. Uno scenario che sarà certamente famigliare a molte delle persone che stanno leggendo e che, diciamolo, appare parecchio sconfortante. È facile perciò fidarsi di chi appare diverso, di chi spicca tra tanti perché semplicemente interessato a noi come persone. 

Guardando Fresh si fa largo dentro di noi la sensazione di essere senza via di uscita da qualsiasi punto di vista si osservi questo desolante quadro. Non ci vuole molto perché si materializzi concretamente il vero intento di Mimi Cave: mostrare gli effetti estremi della mercificazione del corpo delle donne, la considerazione superficiale e consumistica che la società ha nei confronti del genere femminile. Ed ecco allora che il sentirsi un pezzo di carne diventa orribilmente reale. Il feticismo maschilista, misogino e patriarcale assume un’apparenza oscura e disturbante e l’esistenza femminile viene ridotta a un rapporto preda-cacciatore in cui la morte sopraggiunge soltanto dopo una lunga e crudele agonia in cui si fa scempio a proprio piacimento del corpo della donna: accoltellato, dilaniato, affettato, trinciato, massacrato, morsicato, masticato e ingurgitato.

Mimi Cave non è per il “Se non puoi batterli, unisciti a loro”; o meglio: se sceglie di utilizzare questo detto certamente con “loro” non intende gli uomini bensì altre donne, a loro volta ugualmente vittime della società. Noa infatti, una volta guardato in faccia il vero volto della realtà, simile a un buco nero senza fine, capisce che da sola non potrà mai salvarsi: per riuscire ad autodeterminarsi ha bisogno di coloro che possono capire il suo stato d’animo e le sue paure, che pascolano continuamente nei campi del dolore e dell’abuso proprio come lei. È interessante far caso alle donne che Cave sceglie di rappresentare: una caucasica, una afrodiscendente bisessuale e una asiatica disabile. La regista sceglie deliberatamente di non mostrare al pubblico un solo modello di femminilità normativa e socialmente accettata, di non ammiccare a una cultura mediatica che ci serve in continuazione donne così perfette da sembrare fatte con lo stampino in continua competizione le une con le altre, complici inconsapevoli della cultura patriarcale. Cave preferisce un nuovo (nonché normale) modello di femminilità che fa appello alla solidarietà di genere per riuscire a salvarsi dalla posizione di costante pericolo in cui si è relegate fin dal momento della nascita, quando trascrivendo una F maiuscola vicino al nostro nome e cognome firmano implicitamente la nostra condanna a morte. 

Fresh è una metafora della vita femminile, nonché una sorta di manuale per la sopravvivenza e la salvezza, e Mimi Cave riesce a guadagnarsi di diritto il suo posto nella wave del nuovo cinema horror portato avanti da cineaste come Ducournau e Fargeat.

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