C’era una volta, nei bui angoli della storia degli arcade degli anni ’80, una leggenda che si diffuse come un’ombra sinistra tra i giocatori più avventurosi. Era la leggenda di Polybius, un gioco arcade che nessuno sapeva se fosse vero o solo una mera illusione.
Si diceva che Polybius fosse parte di un esperimento psicologico gestito dal governo degli Stati Uniti, nascosto dietro le luci sfavillanti degli arcade suburbani di Portland. Questo gioco non era solo un passatempo innocente, ma qualcosa di molto più sinistro, capace di penetrare nelle menti dei giocatori e alterarle irrimediabilmente.
Le storie su Polybius si moltiplicavano come ragnatele nell’oscurità: si raccontava di ragazzi che giocavano a questo gioco e poi svanivano nel nulla, dimenticando tutto di sé stessi, persi in un vuoto di amnesia. Altri riferivano di terribili incubi che li tormentavano dopo aver giocato, come se il gioco avesse aperto le porte dell’inferno direttamente nella loro mente.
Ma la parte più inquietante della leggenda era la presenza degli “uomini in nero”, figure misteriose vestite di nero che venivano a raccogliere dati dalle macchine di Polybius. Non si interessavano alle monete o ai punteggi, ma solo a ciò che accadeva nella mente dei giocatori mentre interagivano con il gioco (fonte originale della leggenda).
Gran parte delle grafiche presunte del videogame in questione sono state realizzate in seguito, e sono pertanto frutto di rielaborazioni personali. Non significano che il videogioco esista o sia esistito, in pratica, ma soltanto che la suggestione è stata molto forte e che ci sono tanti programmatori fantasiosi in giro.
Polybius era diverso da qualsiasi altro gioco arcade dell’epoca. La sua grafica era strana, quasi astratta, e il gameplay mescolava azione frenetica con elementi di puzzle. Ma ciò che lo rendeva veramente spaventoso era il suo potere di assorbire interamente la vita dei suoi giocatori, portandoli a rinunciare completamente ad altri giochi e persino a diventare ferventi oppositori dei videogiochi stessi.
Nonostante la sua breve presenza negli arcade, Polybius scomparve misteriosamente, lasciando dietro di sé solo una scia di voci e rumor. Ma la sua ombra persistette, tanto che persino una ROM del gioco si diceva fosse stata trovata, portando con sé la parola tedesca “Sinneslöschen”, che significa “cancellazione del senso” o “deprivazione sensoriale”, come se il gioco avesse il potere di annullare completamente le sensazioni dei suoi giocatori.
Anche se il gioco stesso potrebbe essere solo una leggenda urbana, il terrore di Polybius vive ancora, come un eco inquietante del potere che i videogiochi possono avere sulla mente umana. E così, nel buio della notte, quando gli arcade dormono silenziosi, Polybius continua a esercitare il suo sinistro richiamo, invitando i coraggiosi a sfidare il destino e a scoprire la verità dietro il suo mistero oscuro. Ma sappiate che chiunque si avventuri in questo viaggio rischia di perdere più di quanto possa immaginare.
Nota. L’ente che non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai per eccellenza è senza dubbio il CCRU (Cybernetic Culture Researche Unit), un collettivo sperimentale e movimento culturale formato a metà anni Novanta presso l’Università di Warwick e tenuto in vita fino al 2003. Si guadagnò la reputazione per la sua “theory-fiction” peculiare e surreale. che incorporava cyberpunk e horror gotico, e da allora il suo lavoro ha avuto un seguito di culto online legato alla crescente popolarità dell’accelerazionismo. I suoi principali esponenti sono Sadie Plant, Mark Fisher e Nick Land.