Todo modo: il film di Elio Petri che racconta un’Italia che forse esiste ancora

Durante un’epidemia il leader di un importante partito si ritira in uno strano monastero: l’obiettivo è quello di trascorrere del tempo in preghiera, ma le intenzioni sono ben altre e, nel frattempo, un killer misterioso sembra uccidere alcuni dei presenti.

Cummannari è megghiu du fùttiri!

Come in un’opera decameronica, la regia di Petri (che si ispira al romanzo omonimo di Sciascia, rielaborandolo in chiave fortemente politica) ambienta la storia nello Zafer, un luogo asettico e surreale in cui isolarsi dal mondo e dedicarsi a pratiche di preghiera: è in corso un potenziale rinnovamento della classe dirigente, che non è difficile immaginare – e identificare figurativamente – nella Democrazia Cristiana dell’epoca. Ma le cose non andranno esattamente come potrebbe sembrare, anzi la situazione sarà sempre più tesa e claustrofobica.

Il titolo Todo modo fa – letteralmente, si potrebbe scrivere – riferimento all’opportunismo ed al cinismo politico che caratterizza(va) i politici (dell’epoca, e forse di ogni tempo e luogo, per estensione di metafora): Todo modo para buscar la voluntad divina, ovvero Qualunque mezzo per accondiscendere la volontà divina. Quasi un Gott mit uns, Dio è con noi, lo stesso motto adattato dall’Ordine Teutonico.

Per piacere, Voltrano: si censuri!

Nel suo incedere grottesco e teatrale, subdolo e a volte difficilmente intellegibile, Todo modo risulta, ad oggi, secondo uno notissimo luogo comune, presunto profetico: si apre infatti sulla scia di un’epidemia che costringe tutti i cittadini (viene detto) a ricevere una vaccinazione obbligatoria a causa di un’epidemia (che poi sarebbe una pandemia, come sappiamo bene oggi). Da qui si crea elegantemente il presupposto per imporre, nella trama, il periodo di isolamento alla classe politica, e per mostrarne i vizi e la pochezza.

Il che si adegua soprattutto (per via del bias “recentista” da cui siamo tutti affetti) ad una re-interpretazione del film, diffusa primariamente mediante social, che lo considera profetico della pandemia di Covid-19 del 2020 e, a dirla tutta, anche della morte di Aldo Moro (di cui il personaggio di Gian Maria Volontè si considera usualmente un alter ego, nelle movenze e nel modo di parlare). Il film è precedente ad entrambi gli eventi, per quello che vale. Il riferimento agli Esercizi spirituali (Exercitia spiritualia), opera del 1615 di Ignazio di Loyola è solo un pretesto per un film puramente politico e materialista: i presenti sono sempre più preoccupati di essere esclusi dai centri di potere che di pregare o meditare sui propri peccati.

Tra le singolari scelte registiche di Todo Modo è necessario citarne almeno una di rilievo: la presenza di schermi televisivi modello Grande Fratello orwelliano all’interno delle stanze dell’edificio, attraverso cui avviene gran parte della comunicazione “dall’alto al basso”. È probabilmente un riferimento alla società dello spettacolo, il mondo di apparenze e di relazioni basate sull’apparenza (e sul capitale) di cui teorizzava Guy Debord, non solo “un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini“. Rapporto basato su interessi, opportunità, possibilità di espandere il proprio potere e così via.

Del resto lo sdoppiamento dell’immagine sul personaggio interpretato da Ciccio Ingrassia (vedi immagine successiva) raffigura lo sdoppiamento tra il privato e il pubblico, e fa probabilmente riflettere lo spettatore sulla differenza non solo tra ciò che appare del politico e ciò che è il politico, ma anche sull’alienazione indotta dall’immagine stessa, che da’ ordini e indicazioni non prorogabili nè discutibili, oltre ad apparire oppressivamente anche quando non sarebbe necessaria.

Si alternano diverse giornate all’interno del film, che partono dall’arrivo nella struttura (indefinitamente un hotel, un castello e via dicendo) e fanno emergere una sotto-storia di natura giallistica: tra una predica e l’altra di Don Gaetano (interpretato da un sublime Marcello Mastroianni, che si definisce orgogliosamente “un prete cattivo“), personaggio che si erge a moralizzatore del proprio gregge parlando del peccato, poi dell’inferno e così via.

La massa di politici che lo segue, visibilmente, non regge i suoi modi autoritari (e anzi, denuncia una progressiva insofferenza verso gli stessi), per quanto poi faccia finta di commuoversi ipocritamente in preghiera, di essere devota e rispettosa delle istituzioni e così e via. Nel frattempo si susseguono vari delitti, che preoccupano progressivamente i presenti e fanno uscire un quadro sempre più nitido di una società corrotta e conformista, che ricorda molto quella raccontata ne La proprietà non è più un furto oppure in Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto.

Un film del genere colpisce pienamente nel segno e, se uscisse oggi, avrebbe successo o sarebbe forse tacciato di populismo – per via della sua sferzante critica politico-sociale, impreziosita peraltro dalla forma giallo (una ricerca dell’assassino a camera chiusa, in cui lo stesso non può che essere uno dei personaggi presenti nella struttura). Una critica da vero e proprio saggio politico che non le manda a dire e che, di fatto, usa un linguaggio tanto aulico quanto dissacrante (grottesco, per l’appunto). La classe politica, nel frattempo, non è cambiata: non riesce a mettersi d’accordo neanche nello stabilire le posizioni in cui si trovavano al momento del secondo delitto, il che sembra essere una sferzante allegoria delle discussioni alla Camera o al Senato.

Mai stato alla tua destra, io! Sempre a sinistra! Tu invece… eri a destra eccome!

Todo modo è un film di genere grottesco-satirico, che resta in bilico tra toni alienanti e prettamente teatrali (in certi passaggi non è facile non perdere il filo, ma l’effetto è quasi interamente riferibile al perturbante freudiano o, se preferite, ad uno straniamento brechtiano), riferimenti alla politica e alla sua corruzione interiore, monologhi interiori più o meno laceranti, dialoghi quasi sempre in primo piano, ad evidenziare le contraddizioni (e gli scheletri nell’armadio) dei personaggi – i cui gesti (a volte vuoti, altre grottescamente esacerbati) raffigurano un mutamento politico da collocare in un momento di crisi.

Una crisi che oggi, probabilmente, conosciamo bene, e che rende ancora più inquietante e “preveggente” un’opera da sempre considerata controversa, resa per molto tempo irreperibile e destinata ad una quasi irreversibile damnatio memoriae, se non fosse stato per il recupero, nel 2015, della pellicola da parte della Cineteca di Bologna: erano trascorsi quasi quaranta anni dopo dalla morte di Aldo Moro dopo l’agguato di via Fani da parte delle Brigate Rosse.

Pure le ostie consacrate si sono rubati!

Proiettato per la prima volta il 30 aprile del 1976, è un grande classico del genere penalizzato, probabilmente, da un’eccessiva lungaggine narrativa; l’intento dell’opera rimane puramente satirico, rivolto al partito della Democrazia Cristiana e ai noti casi di corruzione che si sospettavano (e in parte vennero scoperti in seguito).

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