Non tutti se ne sono capacitati, ma sono palesemente tempi di post-verità: il pattern dialettico che ha dominato nel dibattito pubblico USA per molti anni, alla fine è arrivato anche da noi. E non si è limitato a fare una passeggiata: si è sedimentati nel modo di comunicare che tutti noi sfruttiamo, caratterizzandosi per l’ostentazione della presunta sacralità del proprio pensiero. La cosa interessante o inquietante è che questo sembra essere avvenuto a più latitudini, a prescindere dal fatto che uno si batta per il Black Lives Matter o indossi un caschetto di carta stagnola per non farsi leggere nel pensiero.
La post verità stabilisce che il dibattito (a livello interpersonale, politico, social, sanitario e via dicendo) non si interessa alla ricerca della verità – che sarebbe uno scopo nobile quanto, per molti versi, utopistico – bensì, più brutalmente, all’affermazione convinta della sensazione che più ci aggrada. La verità non conta, conta ciò che proviamo o che “sentiamo” essere vero – e se questo è un pericolo da molti punti di vista, può diventare un paradigma sul quale costruire una nuova idea di realtà.
Il mantra degli ultimi anni è che dobbiamo sempre difendere le nostre idee, giuste, fake, o sbagliate che siano.Se proviamo a sezionare quella frase, escono fuori cose potenzialmente interessanti.
Dobbiamo: ovvero non abbiamo scelta
Difendere: siamo già in guerra, dobbiamo difenderci – retorica del combattente!!1!
Le nostre idee: le nostre, non quelle degli altri – narcisismo
Le discussioni più vigorose su Covid-19 e vaccini sono in effetti l’esempio più pop di grande popolarità della post-verità: sfruttando il momento di palese offuscamento che stanno vivendo alcuni scienziati, in tanti si sono coalizzati in varie tribù, sulle quali (per brevità o pietà) eviteremo di indagare ulteriormente. Ma la post-verità è anche la verità dei post che escono su Facebook, non deve essere banalizzata e, soprattutto, bisognerebbe mettersi in testa che si tratta di un bias a cui tutti, nessuno escluso, siamo soggetti.
Lo switch dall’innocuo paradigma ricerca-della-verità a quello di affermazione-oltranzista-di-post-verità è avvenuto in modo molto subdolo: la post-verità è diventata di moda nel 2016, e ha finito per prendere vigore, anche dalle nostre parti, in tempo di pandemia.
È vero, del resto, che non sempre ci siamo battuti per ideali propriamente corretti, coerenti o – addirittura – realistici. Tanti di noi credono nei totalitarismi come, all’estremo opposto, nell’anarchismo. Le teorie del complotto – e ciò sembra frutto del clima di obnubilazione e stordimento a cui siamo tutti, nessuno escluso, soggetti – impazzano in ogni settore. La polarizzazione tra pareri opposti è esasperata come raramente avvenuto nella storia, ma soprattutto è sempre presente, qualche che sia l’argomento del dibattito.
Soggettivismo e narcisismo sono esasperati dai social. Siamo travolti da un mood che ci auto-inganna, e la priorità sembra essere quella di prevalere sull’opinione altrui: questo ci carica e ci gasa, e ce lo facciamo bastare. Forse perchè è il modo più semplice per narcotizzare il senso di nullità che pervade molti esseri umani, soprattutto se – nella loro piccolezza oggettiva -messi al cospetto di un mondo troppo complesso, variegato e indecifrabile.
La clinica per litigare dei Monty Python, in qualche modo, è stata profetica, e si potrebbe interpretare come una parodia dadaista delle varie forme di negazionismo e revisionismo ormai parte della cultura pop.
Oggi per esprimere parvenza culturale non serve leggere, studiare, approfondire: basta fare i bastian contrari. Se ci fate caso le varie forme di scetticismo, critica, negazionismo, revisionismo e complottismo sono caratterizzate dall’idea costante che “non ci dicono la verità“, il che è anche interessante dal punto di vista psicologico. Se non ci dicono la verità ci hanno mentito, se ci hanno mentito io sarò sempre autorizzato ad essere incazzato a vita, per cui la rabbia aprioristica – alla fine dei conti – potrebbe essere addirittura la principale arteria su cui si regge la post-verità. Se qualcuno mi ha sempre mentito, del resto, mi sentirò rinvigorito dal fatto che i miei problemi non sono colpa mia, e questo si tradurrà in una deresponsabilizzazione che darà ampio spazio, a quel punto, a soggettivismo esasperato e narcisismo.
Ovviamente anche questo articolo potrebbe rientrare nella post verità, proprio perchè ognuno crede quasi sempre, nonostante tutto, ciò che gli va di credere. In questo gigantesca bolla (o, se preferite, bias di conferma ad uso residenziale), il rischio di isolarsi nella propria post-verità (e rimanerci confinati a vita) è palese. Ed è quello che bisognerebbe cercare di evitare, soprattutto dopo quello che il mondo ha vissuto a livello mondiale nel 2020.
Un’idea potrebbe essere quella di abolire o mettere in pausa, almeno per qualche istante, l’aura giudicante che accompagna qualsiasi nostra recente affermazione: questo perchè in realtà non ci serve, ma anche perchè ci porta fuori strada e ci allontana da qualsiasi possibile assertività (seguitemi per altre ricette!).
Se proprio deve passare il paradigma post-veritiero, a quel punto tanto varrebbe accettare l’idea di convivere con qualsiasi idea, anche se molto distante dalla nostra. Discutendola senza alzarsi dal tavolo ed andare via. Combattendola nel caso in cui diventasse prevaricante, se necessario, ma liberandoci dall’idea che si debba lottare sempre e comunque, sia per affermare i propri diritti che per comprarsi un gelato dietro casa.
Se c’è una cosa che ho imparato nell’ultimo anno è un maggior grado di flessibilità, sicuramente superiore a quando proclamavo idee inflessibili – magari sulla falsariga dei vari anarchici ottocenteschi da me prediletti. Nonostante questo, in molti casi provo un senso di smarrimento nel constatare quanta maledetta intolleranza sia promossa non solo tra le persone, ma anche dai mass media (che sono considerati uno strumento di apprendimento informale, il che implica che non si possano prendere sul serio in tutti i casi, praticamente per definizione).
Io stesso, per primo, volte mi estraneo da certe idee ansiolitiche che leggo in giro, soprattutto in tempi confusi come quelli che viviamo, e se privi di un vero legame con scienza, realtà o pragmatismo.
A volte incontro persone che non riesco a capire, e mi ritrovo deluso da loro e dalla loro dialettica aspra, protesa ad affermare il più classico degli “io vinco, tu perdi“. È proprio quello che bisogna evitare: arroccarsi sulle proprie idee per “vincere” sull’altro, cosa che non possiamo più permetterci e che finisce per essere fin troppo fuorviante.
Superando un certo feeling evitante (e la mia introversione innata), a volte riesco a partecipare a certi “dibattiti” che mi lasciano basito (quasi sempre sui vaccini, of course, visto che di quello si parla pure negli strip club, a momenti), ma lo faccio in modo brechtiano, a volte. Nel senso che ne prendo parte, ma al tempo stesso prendo le distanze da quella situazione, da quel personaggio. Non voglio metterla sul personale, quello è il senso, ed è quasi come se stessi “recitando” mentre affermo, sia pur sinceramente, le mie idee.
La post verità non sparirà e non è una moda passeggera: sarà l’impostazione culturale di qualsiasi dibattito pubblico o privato dei prossimi anni. Ed è bene, come dire, procedere ben attrezzati.
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon