Dopo una cena tra amici una giovane coppia (un fotografo ed una studentessa) investe una ragazza per strada, e scappa senza soccorrerla: stranamente nessuno reclama l’accaduto e, cosa ancora più singolare, a nessuno risulta un ricovero in zona, quella notte. In seguito uno spirito apparentemente ostile sembra volersi manifestare attraverso degli scatti fotografici…
In due parole. Un horror thailandese alquanto artigianale ed altrettanto valido, incentrato sulle apparizioni di fantasmi all’interno delle fotografie (un mito alle urban legend diffuse su internet). Da non confondersi con il remake americano del 2008 (non male, per quanto sostanzialmente inutile), è un crescendo di terrore ed intrigo da non perdere.
Oggetto di “Shutter“, film del 2004 passato relativamente in sordina, sono le fotografie – (“shutter” è l’otturatore delle macchine fotografiche) e le loro implicazioni: non certo una novità, in ambito di storie già raccontate da altri per quanto, in questa sede, sviluppate in modo intrigante, in particolare insistendo su un concetto interessante: il come la rappresentazione più fedele della realtà possa, in realtà, essere tremendamente distorta (“Tutto dipende da come l’immagine viene inquadrata, da quello che viene rivelato e quello che rimane nascosto. Fondamentale è la vostra prospettiva“).
Questa frase è probabilmente la più importante chiave di lettura del film, capace di guidare lo spettatore in un crescendo di tensione e scene davvero spaventose, oltre che di giocare sulla suggestione nella credenza nei fantasmi, fino all’inatteso finale, degno di Dario Argento e di un suo Profondo Rosso o Trauma. Il film è pervaso, inoltre, da un’idea romantica che caratterizza le presenze spiritiche, ed è questo – per quanto sembri strano – il principale punto di forza dell’intreccio – che diversamente sarebbe un film “alla The Ring” come altri.
Per quanto Shutter risparmi parecchio sullo splatter, preferendovi il potere dell’attesa e della suggestione accennata, e soprattutto per quanto tenda a sembrare l’ennesimo spin-off a base di fantasmi orientali (Ju-On, The Shock Labyrinth), si caratterizza in modo piuttosto originale. Le trovate spaventose non mancano, a cominciare dal fantasma che si “affaccia”, letteralmente, all’interno delle fotografie, fino alle allucinazioni del protagonista e all’inaspettata rivelazione finale che mostra, come spesso in questi casi, una realtà sorprendente.
Un buon film in definitiva, una spanna superiore rispetto alla media del genere e che presenta numerosi pregi, pur non brillando particolarmente in termini di interpretazione ed effetti speciali.
“Ah Jane, sei in anticipo… no lascia, rispondo io. Pronto?”
“Ciao, sono Jane, arriverò un po’ più tardi”
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon