The descent: una discesa guidata nelle tenebre

Un gruppo di ragazze si ritrova in una baita per esplorare una grotta: quello che troveranno al suo interno non sarà troppo amichevole…

In breve. Senza paura di spararla grossa, si tratta di uno dei migliori horror degli ultimi anni: tensione, sangue, trama ben strutturata, splatter senza esagerare e finale da incorniciare. Un lavoro che restituisce dignità ad un genere troppo spesso senza anima, ridotto ai minimi termin. The descent si ispira in chiave orrorifica ad un celebre cult anni 70 (“Un tranquillo weekend di paura“), e ne mantiene buona parte del feeling claustrofobico. Da non perdere.

Neil Marshall evoca direttamente, con questo interessantissimo “The descent” (lett. “la discesa“), una delle paure più ancestrali che l’uomo possa conoscere: quella degli spazi ristretti, degli anfratti oscuri e malefici che nascondono – come tradizione vuole –  terribili segreti. Non solo: il plot diventa di per sè una scusa per approfondire i caratteri dei personaggi (un cast tutto al femminile di sei potenziali “scream queen“, tra cui almeno due di tutto rispetto), riproponendo una svolta se vogliamo intimista al genere, ovvero facendo diventare le mostruosità nascoste nelle grotte veri e propri simboli di paure e terrori personali. Il doppio livello onirico-reale proposto all’interno di The descent riesce a rendere perfettamente l’idea, e lo fa senza appesantire la visione con dettagli inutili: il risultato finisce così per brillare tra le rocce nella sua interezza. Giusto per dirla tutta, comunque, esiste qualche piccolo momento di confusione nel film – cambi di ripresa troppo rapidi uniti ad un’oscurità non banalissima da cogliere – e questo lo notiamo soprattutto nelle scene più movimentate, le quali sono state rese quasi come se fossero un videoclip (giusto a voler individuare per forza un difetto, s’intende).

Così come avviene ne “La cosa” di John Carpenter, dunque, i rapporti umani apparentemente impeccabili tra le protagoniste tendono a rivelarsi per quello che sono solo in condizioni di estremo pericolo: il posto dell’alieno senza forma è pero’ questa volta occupato da una sorta di umanoidi albini, ciechi e (naturalmente!) cannibali i quali, per le fattezze, sembrano aver ispirato il personaggio di Mortiis all’interno di Shadow di Federico Zampaglione (2009). Il film, basato su un ritmo naturalmente crescente, riesce ad attanagliare progressivamente lo spettatore, e sono certo che molte scene rimarranno impresse in positivo nella sua memoria: su tutte, la grotta che crolla addosso alla ragazza intrappolata in un cunicolo che più stretto non si può e, naturalmente, le apparizioni dei feroci predatori.

Un film che è stato apprezzato all’epoca della sua uscita (e non si tratta di una delle solite sopravvalutazioni per partito preso), e che potrebbe piacere anche al pubblico non troppo avvezzo all’horror – anche perchè la componente puramente gore-sanguinolenta è stata in qualche modo limitata all’essenziale (per quanto ovviamente non sia affatto “cosa da poco”) e non è ridotta, di fatto, al classico splatter grottesco (e non perchè si tratti di grotte…) o, peggio, semplicemente fine a se stesso.

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