Una spedizione al Polo Sud si complica a causa di un misterioso alieno parassita, che si nutre di altri esseri viventi…
In poche parole. Gran film dell’0rrore dai chiari riferimenti lovecraftiani, ingiustamente massacrato da un critica, all’epoca, fin troppo blindata nei propri pregiudizi. La trama è piuttosto semplice, Kurt Russel superbo, ed è garantita una sagra degli effetti speciali e del gore, con tanto di finale inquietante e suggestivo.
“La cosa” è un horror dalla portata immensa, uno dei più grandi degli anni 80 sicuramente, e sembra quasi banale scriverlo, oggi: fu diretto magistralmente da John Carpenter, il quale decise di ispirarsi sia a Who Goes There? di John Campbell che, vagamente, al lovecraftiano “Le montagne della follia“. L’originale del film è ovviamente il cult “La cosa da un altro mondo”, che rimane comunque piuttosto diverso nella forma tanto da far pensare ad un’opera ex-novo, completamente diversa a causa di un linguaggio cambiato – del resto parliamo di prodotti usciti a distanza di 30 anni.
Il fatto che si tratti di un remake de La cosa da un altro mondo (1951) prodotto da Howard Hawks, da un certo punto di vista, è già importante da sottolineare: esalta ancor più le doti registiche di Carpenter, che fu in grado di trasformare un originale di culto degli anni 50 in un delirio di teorie cosmiche sull’orrore, splatter lacerante ed un finale che lascia col fiato sospeso fino ad oggi. E il tutto smentisce, peraltro, lo stereotipo secondo il quale i remake non sono mai all’altezza degli originali, ma dipende sempre da chi li fa e quanto ci mette di suo.
Nel caso di Carpenter, parliamo di uno dei suoi film più personali ed in cui abbia mai dato libero sfogo all’inventiva. Se il film è vagamente simile a Le montagne della follia, l’autentica ispirazione per il mostro alieno andrebbe ricercata ne L’orrore di Dunwich, in cui la creatura che minaccia l’esistenza di flora e fauna esterna è una sorta di polipo informe che ha assunto, nel frattempo, le fattezze ed i connotati della famiglia Whateley, il cui antenato aveva evocato l’essere mediante magia nera. Carpenter ha sicuramente letto più di qualcosa di Lovecraft, e decide di rappresentare un orrore universale, apparentemente imbattibile ed in grado di operare come un mutaforma, camaleontico quanto imprevedibile ed in grado di sbucare da qualsiasi corpo possa ospitarlo (la sua somiglianza è peraltro molto simile a quella dei virus che ci preoccupano particolarmente di questi tempi).
Ci troviamo di fronte un organismo che imita le altre forme viventi e le imita perfettamente. Questa cosa ha attaccato i nostri cani e ha tentato di digerirli… di assimilarli.
A livello di intreccio, vediamo un gruppo di scienziati (tra cui Mac Ready ovvero Kurt Russell) che sta facendo una spedizione sui ghiacci dell’Antartide; si imbatte – disgraziatamente, come scopriremo – in un huski che è stato apparentemente infetto, in realtà da un camaleontico alieno nascosto al suo interno. Una volta liberata la propria furia, “la cosa” carpenteriana prende la forma dell’essere ospitante volta per volta, fino a deformarlo ed ucciderlo: diventa quindi estremamente difficile da stanare, e scatena una catena di diffidenza reciproca nel gruppo di ricercatori. Una volta entrata nel rifugio degli scienziati, l’alieno sarà relativamente libero di fare strage facendosi ospitare a turno da quasi tutti gli organismi biologici presenti.
Lo spaventoso parassita-virus, quindi, prende la forma di una sorta di cerbero deforme o di un ragno orripilante (sono queste, visivamente parlando, le forme con cui il pubblico ha conosciuto “La cosa”): il tutto con l’aiuto del quasi-esordiente tecnico degli effetti speciali Rob Bottin, tecnico degli effetti speciali famoso per aver lavorato anche a quelli di Robocop e di Atto di forza.
Carpenter ha riservato un sottotesto sociale all’opera, impegnandosi a rappresentare il modo efficace egoismo e disorientamento degli uomini, un classico homo homini lupus, con tutti impegnati in una lotta perenne l’uno contro l’altro, priva di qualsiasi collaborazione e di solidarietà. Salvarsi la pelle è l’unica cosa che conta, mentre il finale si presa a duplici interpretazioni: potrebbe essere davvero finita, oppure la cosa potrebbe annidarsi nei sopravvissuti. Il film finisce prima che una risposta possa apparire chiara allo spettatore.
“Nessuno… si fida più di nessuno ormai… e siamo tutti molto stanchi… Io non posso fare altro… solo aspettare… R.J. MacReady, pilota d’Elicottero, Base Antartica 31“
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