Deterritorializzare la realtà: esegesi di un vampiro

Portato alla ribalta dal recente film di Eggers Nosferatu, il vampiro aleggia sulle nostre coscienze da sempre. Per certi versi ha sempre rappresentato il desiderio di trasgressione, di fuoriuscita dagli schemi, ma anche la pura pulsione di morte che porta l’individuo ad andare oltre la vita, verso la morte, pur di soddisfare il desiderio. Un desiderio che andrebbe di fatto reinterpretato in chiave moderna, liberandosi dalla stretta lettura psicoanalitica classica e basandosi, ad esempio, sul monumentale saggio di Guattari e Deleuze dal titolo Millepiani.

Lavoro di straordinaria complessità di inizio anni Ottanta, introduce la figura del rizoma in termini non gerarchici, liberi dall’idea della classica arborescenza (alberi binari, ternari, n-ari) bensì ispirato alla biologia delle radici delle piante. Quale sublime e vivida espressione di molteplicità, ogni punto di un rizoma può essere connesso con qualsiasi altro punto. Non ci sono gerarchie o strutture fisse: tutto è interrelato, e ogni connessione può produrre nuovi significati e possibilità. In questo scenario desiderio per Deleuze e Guattari non è una mancanza o una forza da placare ma un processo produttivo (l’inconscio è una fabbrica e non un teatro, si era scritto nel precedente Anti-Edipo), una macchina che è in grado di connettere e trasformare le proprie vittime.

Il desiderio di sangue non è più solo un bisogno fisiologico, ma un atto produttivo che trasforma le relazioni e i corpi, in grado di deterittorializzare l’amore e mapparlo su nuove prospettive perverse. In modo che, nell’atto più estremo, possano condurci alla morte e rinnegare – se vogliamo – la sacralità del matrimonio. Il morso del vampiro crea una rete di corpi legati da un flusso, in grado di moltiplicarsi e diffondere il verbo blasfemo.  Il desiderio del vampiro, in questo senso, è una forza di deterritorializzazione pura: rompe i codici della vita umana, sfida la mortalità, si oppone ai limiti del corpo e del tempo, ma nello stesso momento ricodifica la propria esistenza su nuovi piani, creando nuove strutture di potere e sopravvivenza. Tale approccio permetterebbe di leggere la figura del vampiro non come un’entità fissa, ma come un simbolo fluido di trasformazione e potenza, dove il desiderio non è mai statico ma sempre produttivo e capace di sovvertire ogni confine.

Nosferatu – Eine Symphonie des Grauens, liberamente tratto dal Dracula di Bram Stoker, fu ideato e prodotto da Albin Grau, artista e occultista, seguace di Aleister Crowley e membro di sette teosofiche. Nel film la marca stilistica del controluce, centrale nell’estetica del film, agisce come una macchina rizomatica che connette il visibile all’invisibile, il reale all’arcano, aprendo lo spettatore alla percezione di un “altro lato” della realtà. L’ombra della mano di Nosferatu che attanaglia il cuore di Ellen rappresenta un punto di condensazione simbolica: non è un semplice effetto visivo, ma un nodo in una rete di significati che si espandono oltre i confini della narrazione. Come un rizoma, l’ombra non ha un’origine o una forma definita, ma si propaga, si moltiplica e si connette con ciò che non si può vedere, evocando l’arcano e l’inconscio. L’ombra non possiede contorni definiti, e tali confini si dileguano mentre proviamo a vederli più da vicino con uno zoom. Essa non è solo proiezione di un corpo, ma una forza incorporea che deterritorializza la realtà fisica, trasformandola in un assemblaggio di immagini capaci di agire sullo spettatore a un livello profondo, oltre la razionalità.

In questa chiave, Nosferatu non è solo un film gotico o un’allegoria sulla malattia, ma può essere interpretato a titolo di esperimento filosofico e sensoriale che utilizza il linguaggio cinematografico per deterritorializzare la nostra idea di realtà. Attraverso il controluce, le ombre e i dettagli psicologici pianificati da Albin Grau, il film si fa portale verso l’“altro lato”, un piano che Deleuze e Guattari definirebbero come un assemblaggio: un insieme di elementi eterogenei – immagini, simboli, emozioni – che, connessi rizomaticamente, producono nuovi modi di vedere, sentire e pensare. La forza di Nosferatu sta quindi nell’attivare un’esperienza rizomatica nello spettatore: un viaggio nel visibile e nell’invisibile, dove il vampiro diventa simbolo di un desiderio oscuro e deterritorializzante, capace di dissolvere i confini tra luce e ombra, vita e morte, realtà e inconscio.

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