Adesso ti dico perchè sei qui. Sei qui perchè intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti, senti solo che c’è. Tu sai di cosa sto parlando?
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Pillola rossa o pillola blu?
Nel 1940 lo scrittore argentino Adolfo Bioy Casares pubblica il suo primo romanzo: l’opera si intitola La invención de Morel, in italiano L’invenzione di Morel. Fantascienza concettuale e quasi filosofica, peraltro caratterizzata da una singolare trovata, trasposta anche nella versione filmica di Emidio Greco del 1974. Un naufrago arriva su un’isola, si guarda attorno e si accorge che c’è qualcuno sul posto: alcuni eleganti signori, tra cui una donna (di cui si innamora quasi subito), che si aggirano per la stessa.
Nulla di strano se non fosse che sembrano ignorare la sua presenza e, soprattutto, ripetere ogni giorno gli stessi gesti. Il protagonista si trova catapultato in una realtà virtuale, in sostanza, che viene proiettata in tre dimensioni nell’ambiente circostante.
Il luogo si scopre essere frutto dell’esperimento di uno scenziato, che ha creato una macchina in grado di “riprodurre” il passato come una sorta di ologramma, capacitandosi che tutto ciò che c’era intorno a lui era finto, virtuale, intoccabile quanto non distinguibile dalla realtà(?). Se non sono i presupposti di Matrix, film di culto del 1999 delle sorelle (all’epoca fratelli) Andy e Larry Wachowski, poco ci manca.
Un film diventato celebre in tutto il mondo come icona cyberpunk, quintessenza del mondo delle apparenze, appiglio per sviluppare nuovo cospirazionismo e riferimento culturale e pop imprescindibile, per il nuovo millennio. E dire che nel 1992 il fumetto Razzi amari di Stefano Disegni e Massimo Caviglia raccontava una storia simile a quella di Matrix, e che stava per partire una causa per plagio che poi, per motivi economici, mai partì. Thomas Anderson/Neo ha finito per ispirare anche la sceneggiatura di Mister Robot, ad esempio, delineando la figura dell’insospettabile programmatore / ingegnere che di giorno è un insofferente lavoratore e di notte si dedica all’arte dell’hacking.
Oltre la matrice
Verrebbe da chiedersi che sapore abbia il primo Matrix oggi, dato che per l’epoca parlava di fantascienza, e tanto della stessa è forse diventata più o meno realtà. C’è da evidenziare come l’aspetto numerologico dell’opera, a cominciare dal personaggio di Trinity ai tre agenti che si vedono all’inizio ponga presupposti per il classico film più discusso che visto. Del resto la rivelazione dell’opera assume una valenza salvifica, sulla falsariga religiosa, che a tratti sembra quasi pretenziosa (ad esempio quando sentiamo: Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più). La Verità è Una, come a dire. Come ha osservato Zizek nel suo mini-saggio sul film (edizioni Mimesìs), tanto varrebbe estendere l’idea a più universi personali, su misura per ognuno, che vadano l’oltre un’idea di Realtà Unica che “loro” vogliono nasconderci e che oggi sembra consolidata solo nel pensiero complottista (ovvero che ci nascondano la verità con mille orpelli tecnologici, con implicazioni psicologiche, ideologiche e sociologiche).
La sensazione che abbiamo oggi, di fatto, è che viviamo la stessa condizione del pesce che non sa nulla dell’acqua in cui nuota, e al tempo stesso non possiamo ormai fuoriuscirne senza smettere di respirare. E forse è più coerente coi tempi che viviamo pensare a N universi, uno per ognuno di noi, che si materializzano nelle “bolle” social in cui viviamo nostro malgrado.
Hackeraggio cinematografico
Le riletture in chiave “dipendenza dalla tecnologia” e alienazione del dibattito sociale e politico sono ben note, ma non bisognerebbe dimenticare che Matrix rientra anche nella gloriosa (quanto a volte fuffosa) tradizione dei film a tema hacker, in cui il ruolo dell’esperto di informatica assume una valenza di ribelle al sistema e, in qualche modo, l’essenza salvifica è espressa dal fatto di conoscere il “nemico” per addomesticarlo a dovere, ed impedirgli di prevaricarci. Tutto ciò è sviluppato da Matrix in modo sublime, andando parecchio al di là del senso di accerchiamento che interessa alcuni suoi fan della prima ora, tanto che in seguito è stata ufficializzata dalle registe una lettura in chiave transgender. Nel vecchio cult anni 80 War Games, peraltro – sebbene in chiave leggera e quasi favolistica – si concludeva che l’unico modo per vincere questa sfida tra noi ed una tecnologia sempre più potente e incomprensibile fosse, semplicemente, non partecipare. Una falsa soluzione, vista oggi, ad un problema tutt’altro che risolto.
Una delle più belle metafore di Matrix, peraltro, rimane quella inerente l’opportunità di scoprire cosa sia davvero la realtà, ovvero la tana del Bianconiglio, sulla falsariga del famoso romanzo di Lewis Carroll. La scena è talmente emblematica da essere diventata un meme, negli ultimi anni, ovvero quello della “pillola rossa o pillola blu“. Se Alice nel paese delle meraviglie fosse stato scritto oggi, del resto, avrebbe annoverato il bruco dal parlare enigmatico e il coniglio frettoloso tra i misteriosi figuri che animano il dark web.
Lo spirito di Matrix
Se di fatto il film sembra aderire ad una filosofia di sostanziale riscatto interiore – in cui tutti, per definizione, siamo nati schiavi di Matrix – ciò può essere ricondotto ad un libertarismo estremo, che coccola apertamente il pensiero anarchico. Gli individui tormentati che si muovono dentro due realtà alternative, che faticano a capire cosa sia reale (vedi ad esempio Avatar di James Cameron del 2009), che lottano per auto-affermarsi e scoprire la verità (?) è, di fatto, una ricerca che non è ancora finita, e di cui è ancora oggi difficile immaginare le conclusioni. Fare uso della fantascienza a tale scopo è – a questo punto – quasi ballardiano, con l’uomo che sfrutta la tecnologia per il solo scopo più o meno consapevole di auto-distruggersi, altalenando tra vorace curiosità e cupa disperazione: pillola blu o pillola rossa?
Questo dualismo tagliente che avviluppa Matrix, per cui non esistono terze scelte (nonostante Trinity, verrebbe da puntualizzare) ed il fatto che un uomo possa soltanto decidere tra A) sapere tutto B) non sapere nulla è ovviamente romanzato, ma la dice lunghissima su come abbiamo assestato il nostro modo di pensare dopo l’invasione dei social network. La polarizzazione dei pareri in blu / rosso è da tempo all’ordine del giorno, ad oggi, senza gradienti di colore, mentre ogni dibattito è quasi sempre “tagliato con l’accetta”, con pensieri in gioco per definizione incompatibili tra di loro (leggasi: per il puro gusto di discutere, come nella famosa Clinica per litigare ideata dai Monty Python).
Non c’è altra speranza: devi essere 0 oppure 1, ateo o credente, vax o novax, senza sfumature (sfumature che al Sistema, verrebbe da dire, non piacciono nemmeno un po’, o alla meglio vengono ignorate). Il tutto, poi, senza badare minimamente alle tue motivazioni interiori che, per quanto sbagliate, possono averti condizionato. Ogni uomo che incontri sta combattendo una dura battaglia, sii gentile – recitava una celebre massima che varrebbe la pena di ricordare, tra un respiro e l’altro, periodicamente – citazione attribuita erroneamente a mezzo mondo e quasi certamente scritta da un pastore della libera chiesa scozzese di nome Ian Maclaren.
Oggi, forse più dell’anno 1999 e delle sue paranoie irrazionali da Millenium bug, molti di noi rimangono pesci che non sanno nulla dell’acqua in cui nuotano.
Photo by Markus Spiske on Unsplash
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon