Oltre il cambiamento: una questione di forma, oltre che di sostanza

Secondo una diffusa vulgata, nei momenti di crisi esistenziale e politica la strategia situazionista era quella di provare, tra l’altro, un detournement. Un termine noto agli addetti ai lavori che indica, semplificando un po’, una “variazione controllata” su un tema noto, in cui diventa possibile creare qualcosa di nuovo partendo da un modello base molto noto. Molti meme su internet si basano implicitamente su questo procedimento (ricreare un nuovo significato da una vecchia immagine, spesso e volentieri anche più di uno: pensiamo ai meme di Leonardo Di Caprio), e sono ovviamente incalcolabili gli esempi di situazionismo fuori dal digitale (Guy Debord che invitava a visitare una città seguendo la mappa di un’altro luogo, Vito Acconci che seguiva i percorsi di persone casuali che camminavano per strada, le copertine di alcuni dischi punk rock e via dicendo).

Quando la noia ci assale, come durante il lockdown sarà praticamente successo a chiunque sulla faccia della terra, l’idea di creativizzare qualcosa può essere utile quantomeno a liberarci, se non a produrre propriamente dei capolavori. Sono in tanti a sostenere che la figura dell’artista isolato e romantico che produce la propria arte sia superata e stantìa, per cui uno potrebbe mettersi a scrivere davanti ad una tastiera violando, volutamente, qualche regola. Chi scrive sgrammaticato sui social lo fa senza rendersene conto, ma non è questo l’esempio che cercavo, in effetti. Poniamo il caso, piuttosto, sulla falsariga di quanto suggerito in Ctrl-C, Ctrl-V (scrittura non creativa)che ad un certo punto l’autore che state leggendo inizi arbitrariamente a FARE USO DI LETTERE MAIUSCOLE (l’equivalente di gridare, secondo una diffusa netiquette).

Bene, l’esempio dell’abuso del caps-lock evidenzia quanto sia banale porre l’accento sul come e non sul cosa si dica X. Se vediamo qualcuno balbettare per strada, baderemo prima al come (il fatto che balbetta) e solo in un secondo momento al cosa (magari stava divulgando le equazioni di Maxwell per newbie – e nessuno ci farà caso).

Un po’ come scrivere CI VORREBBE UNA SOCIETÀ PIÙ EQUA – il che non è sbagliato nè come grammatica nè come significato  – ma poi, al netto della difficoltà soggettiva di trovare le maiuscole accentate, se vista da un cinico o da chi cerca argomenti per smontarci assume una valenza grottesca, scritto in quel modo. Si svilisce il messaggio (la sua semantica), che diventa patetico nonchè oggetto di scherno come chi vorrebbe parlare di cose profonde citando malamente frasi di Bukowski, o facendosi selfie con annesse frasi sconnesse da maschio alpha.

Sarebbe solo una questione di sintassi, ed è una delle tante prove di come l’apparenza possa non solo ingannare ma, sui social in particolare, deponga dal trono qualsiasi (nobile) messaggio. Il contenuto diventa secondario se si urla, si sfoca – finisce quasi in terzo o quarto piano in alcuni casi. Perchè la forma è ancora essenziale (anche quando sembra “di troppo” o secondaria), soprattutto perchè se sbraiti – che tu sia una militante femminista, un lavoratore sfruttato o un uomo i cui genitori trattano ancora come un bambino – anche se hai ragione da vendere darai campo al più becero paternalismo o mansplaining.

In effetti potrebbe essere anche paternalismo quello che esprimo, un meta-paternalismo, ma lasciatemi aggiungere che mi assumo anche il rischio di sembrarlo, se serve, perchè ritengo la questione sintattica molto importante nella comunicazione digitale. Non facciamoci illudere dal quel maledetto “bene o male, purchè se ne parli“, che è un adagio da vecchia volpe pubblicitaria un po’ boomer, un po’ cialtronesca. E questo vale anche – e soprattutto – se le nostre intenzioni sono buone.

Se urli dicendo cose giuste (come diceva Nanni Moretti in un suo vecchio film) oggi, a quel punto, molti di noi smetteranno di notare cosa tu stia dicendo, additandoti malamente per il come lo stai dicendo. E così anche un urlo giusto, una recriminazione corretta o una protesta lecita diventano irricevibili. Perchè così sembra funzionare, secondo il “galateo” un po’ ipocrita della rete. Non diventiamo i troll di noi stessi.

Proviamo semmai a creare situazioni nuove, anche mediante piccole deviazioni dalla norma che per noi è prassi, proviamoci, vediamo cosa succede. Se da un lato potrebbe evocare la terapia stimolante da parte di un paziente con problemi di adattamento o noia della propria vita, dall’altro potrebbe essere utile a riorientare la vita di ogni giorno.

Rompere lo schema dal sapore auto-profetico, in un modo nuovo: una rottura progressiva, morbida, decisa quanto empatica. Non è facile, ma ci possiamo provare.

Foto di congerdesign da Pixabay

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