Charles Manson: un serial killer diventato brand
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Chi è Charlie Manson?

Questa è la domanda chiave dietro il fascino di Charles Manson, ad oggi il serial killer più famoso della storia, pur non avendo mai ucciso nessuno.

Questa è la domanda che mi sono fatto costantemente lavorando a “Una svastica sul viso“, un libro docu-fiction che ha l’intento di restituire il mostro riscrivendolo dal suo interno, utilizzando un’ampia selezione delle sue dichiarazioni.

Ci sono due icone del male nel ‘900 che per popolarità sovrastano le altre e i cui volti sono riconoscibili come il logo delle Nike o della Adidas, Adolf Hitler e Charles Manson, entrambi mandanti di omicidi di “massa”. Ma se il primo ha coscientemente prima teorizzato e poi istituito il male come sistema, come “soluzione finale” rendendosi un demiurgo gelido e distante, il secondo, più maldestramente, è divenuto un Belzebù suo malgrado, trovandosi coinvolto in due stragi che hanno messo la parola fine alla cultura dell’amore degli Anni 60 e che hanno trasformato il piccolo Charlie (era alto 1,58) in un emblema, al tempo stesso, della sordidezza e del potere seducente del male.

Nel tentativo di restituire la voce di Charles Manson, ho visto la maggior parte dei documentari sul suo caso, ma debbo dire con pochi risultati. Molto più efficaci risultano invece le interviste rilasciate per la tv o la carta stampata, perché in questo delirio di parole, in questo flusso vorticoso più sconclusionato che conclusivo risuona chiara e scintillante la voce di questo criminale, frettolosamente liquidato come demonio e che del demonio ha sicuramente più complessità in quanto portatore di una sua specifica fragilità. Possiedo ancora gelosamente una affascinantissima videocassetta bootleg edita solo in poche copie e acquistata clandestinamente da ragazzo, quando la figura di Manson, qui in Italia, era ancora avvolta in un’aura misteriosa, e che riporta tutta l’udienza per la richiesta di libertà condizionale fatta da Charles Manson nel 1992, libertà condizionale che gli verrà negata in dodici volte in tutto.

Per chi volesse indagare e tentare di capire o almeno subire il fascino che Manson ha esercitato dal suo arresto fino alla sua morte, c’è solo un documentario che merita di essere visto anche se probabilmente pecca di una certa tendenza agiografica nei confronti del nostro: Charles Manson Superstar di Nikolas Schreck (1989), autore tra l’altro di una poderosa quanto introvabile pubblicazione di 991 pagine sempre su Manson dal titolo: The Manson File Myth and Reality of an Outlaw Shaman.

Charles Manson Superstar fin dal titolo e dalla bellissima locandina disegnata da Joe Coleman, dove vediamo Manson ritratto come cerbero dal cui corpo nascono altre creature malefiche, i membri della Family, si prefigge di spiegare Charles Manson come fenomeno, come prodotto mediatico e di ritrarlo come un eretico postmoderno.

Quando il suo primo piano appare sulla copertina di Life nel 19 dicembre del 1969 Manson diventa un brand, come la Coca-Cola o McDonalds. Un prodotto di consumo creato per soddisfare la sete di sangue e l’appetito insaziabile del pubblico verso il macabro e il malsano. Non c’è nulla di vero nella teoria dell’Helter Skelter messa in piedi dal procuratore distrettuale Vincent Bugliosi, se non l’intenzione di creare il “nemico pubblico numero uno”. Il documentario smitizza, quindi, il mito creato dai media e dalle aule dei tribunali americani, sostituendolo con un altro mito, come accennato prima: quello dell’eretico postmoderno.

Così in questa lunga intervista allo stesso Charles Manson girata durante i suoi giorni di detenzione presso il carcere di San Quentino, intervallata dal commento dello stesso regista, apprendiamo l’infanzia terribile di Manson, il suo background di uomo nato negli anni ’30, ci vengono spiegate le connessioni tra Manson e Scientology, pare che si sia sottoposto a diverse sessioni durante la prigionia, i suoi rapporti con la Mafia e i collegamento con il mondo del Satanismo americano, all’epoca sotto la guida del reverendo Anthony LaVey, scopriamo la figura ispirante di Krishna Venta, santone improvvisato che si stabilì negli anni ’50 proprio tra le spoglie colline vicino allo Spahn Ranch, futura dimora di Charlie e della sua famiglia e arriviamo alla amara conclusione secondo cui probabilmente le stragi furono l’esito tragico di una banale storia di droga.

Ad impreziosire le immagini, va messo in risalto l’eco sulfureo di una colonna sonora sapientemente assemblata con i brani Death and Resurrection di Olivier Messiaen, Lucifer Rising di Bobby Beausoleil (amico di Charles Manson e seguace del luciferino regista underground, nonché crowleyano, Kenneth Anger), Apocalypsis di Krzysztof Penderecki (il compositore è stato utilizzato al cinema sia ne L’Esorcista che in Shining e nel serial televisivo di David Lynch, Twin Peaks), The Satanic Mass di Anton LaVey oltre ad alcune delle canzoni di Manson tratte dal suo disco più celebre Lie: The Love and Terror Cult.

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