Regista classe 1983, Robert Eggers rappresenta probabilmente uno dei registi più innovativi e discussi degli ultimi anni, soprattutto in relazione alla sua idea di folk horror.
Sposato con Alexandra Shaker, una psicologa clinica che conosce fin dall’infanzia, vive a Brooklyn con un figlio di nome Houston. Il regista ha iniziato la sua carriera come scenografo e regista di produzioni teatrali a New York prima di passare al cinema, per cui è diventato celebre soprattutto per The Vvitch del 2015, film che è stato acquisito dalla casa di produzione A24 per la distribuzione a livello mondiale.
Il film successivo di Eggers, The Lighthouse (del 2019), è stato anch’esso un film d’epoca e ha ricevuto il plauso della critica. Ha diretto il film da una sceneggiatura che ha co-scritto con suo fratello, Max, e vede protagonisti Robert Pattinson e Willem Dafoe. Nel 2022 è uscito il film epico vichingo ispirato a The Northman, con Alexander Skarsgård, Nicole Kidman, Anya Taylor-Joy, Ethan Hawke, Björk e Willem Dafoe – ancora una volta.
Da molto tempo si vociferava che fosse in programma un remake di Nosferatu del 1922, che Eggers realizza in modo brillante. Eggers ha collaborato spesso con il direttore della fotografia Jarin Blaschke e la montatrice Louise Ford. Gli attori Ralph Ineson, Anya Taylor-Joy e Willem Dafoe sono apparsi in molti dei suoi film, mentre il compositore Mark Korven ne ha composti due.
È soprattutto il folk horror che si lega a Eggers e alle sue produzione cinematografiche più celebri. Cos’è il folk horror e cosa intendiamo con lo stesso? Questa forma di horror “popolare” è un sottogenere filmico / narrativo che sfrutta elementi del folklore al fine di evocare un senso ancestrale di paura. Per quanto la classificazione sia meno ovvia e scontata di quella, ad esempio, di uno slasher movie, possiamo annoverare nel folk horror prima di tutto pellicole come The Wicker Man, Antrum, Antlers, l’horror italiano Oltre il guado e, con qualche riserva, addirittura il vituperato e discusso The Blair Witch Project. Non fosse altro che, a conti fatti, non sembra che ci debba essere un’estetica particolarmente raffinata dietro un film folk horror, ma si tratta più di collocare le origini del male o del dolore in un luogo specifico, geograficamente identificabile, e che questa identificazione faccia parte della suggestione in sè (un po’ come avviene con la leggenda del mostro di Lochness, ad esempio).
È altrettanto chiaro che film come Road to L, Zeder e Il signor diavolo non siano difficili da inserire nella tradizione folkloristica declinata in chiave spaventosa, nel folk horror che sta rendendo famoso Eggers. Anche La casa dalla finestre che ridono potrebbe rientrare nel gruppo, perchè l’orrore che si rivela non è propriamente universale, alla Lovecraft, ma è legato alla caratteristica di un luogo specifico, a cui sono associate ad esempio storie di stregonerie, culti esoterici o pagani e via dicendo. Il richiamo all’ancestrale è certamente comune a qualsiasi horror, e non basta – a nostro avviso – per creare il contesto in cui inserire film di genere folk horror, che risulta così di difficile ulteriore formalizzazione. Eggers sembra avere le idee chiare in merito, dato che tutti i film che ha diretto presentano elementi del genere a cominciare da The Northman, legato alle tradizioni vichinghe (anche se non horror, questa volta), a continuare con l’horror stregonesco The Vvitch e a finire con il recente Nosferatu, che ha riportato in auge il mito del vampiro.
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