Ti guardo attraversare i corridoi persa nel tuo da fare. Dal canto mio non trovo le parole da dirti, un modo qualsiasi per iniziare un discorso con te. Potrei farlo, forse varrebbe la pena provarci, ma le parole faticano e la mente inerte non sa dire niente. Mi dicono peraltro che l’iniziativa potrebbe partire anche da te, se fossi interessata, così aspetto, ma non succede. E mentre fantastico su di te, su come la pensi, sul tuo taglio di capelli e sul vestito a fiori che lascia immaginare qualche forma – so che ti ritroverò, qualche ora dopo, tra i miei neuroni. E dire che non so neanche come ti chiami, dopo un anno che lavoro qui. O meglio: non lo sapevo fino a poco fa. Sei sbucata fuori tra i profili di una app di incontri. Ho scoperto che ti chiami Sandra da lì. Mi incuriosisce che abbia dovuto accedervi e pagare un abbonamento di 13.99€ a settimana. Se te l’avessi chiesto in presenza, a conti fatti, mi sarebbe costato al massimo 2.20€, due caffè che avremmo preso assieme e che forse avresti insistito per pagare mentre io no, lascia, faccio io, e tu ma no, sai, l’emancipazione, ma io avrei insistito, e tu avresti polemizzato dolcemente sul patriarcato. Avrei risparmiato quasi 12€ se solo fossi riuscito a chiederti come ti chiavi. E ora lascio che tutto scorra via, e che vada come deve. E dire che – ti ho vista poco fa – siamo pure vicini di casa. Io mi chiamo Salvatore, comunque.
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