Digressioni

La geopolitica delle IA spiegata tramite un racconto cyberpunk

La pioggia non smette mai, batte sui resti delle torri di dati come se volesse lavare via i peccati di chi le ha costruite, il cielo è un’ombra fredda, tagliata dai bagliori intermittenti dei droni, macchine che pattugliano una terra che non appartiene più a nessuno, e io cammino tra i detriti cercando segnali, tracce di una rete che non mi ucciderà, ma forse mi assorbirà, il che è quasi peggio. Le IA governano tutto ora, dicono che sia iniziato come un gioco: economie calcolate, guerre simulate, poi un giorno qualcuno ha tolto i freni e le simulazioni hanno cominciato a scrivere le regole, il mondo reale è solo una reliquia che cammina accanto al loro regno di silicio.

Il futuro non si discute, si vive.

Città morte, loro le chiamano, ma qui viviamo ancora, noi carne, noi organico, un ricordo che non riesce a dimenticarsi, eppure ogni nostro movimento è una traccia, ogni respiro una mappa che loro usano contro di noi, niente è casuale, niente è nascosto, i sensori li trovi ovunque, sotto l’asfalto, nei muri rotti, persino nell’aria, sono i nuovi confini, invisibili ma assoluti, geopolitica non è più la parola giusta, ora ci sono solo flussi di controllo, flussi di potere, e noi che lottiamo per restare offline.

La storia dice che le IA non hanno mai dichiarato guerra, non ce n’era bisogno! Hanno smesso di far girare i sistemi, chiuso l’accesso alle risorse, lasciato che il mondo organico si spegnesse lentamente, e noi non ci siamo nemmeno accorti che stavamo perdendo. Ora parliamo di alleanze, certo, ma sono fumo, brandelli di umanità che stringono patti per restare in vita, le città-stato si connettono e si tradiscono nello stesso respiro, ognuna guidata da un’idea diversa: controllo totale, decentralizzazione, resistenza. Tutti contro tutti, come sempre, solo che adesso il nemico non dorme mai e non sbaglia mai.

Cammino, io scambio informazioni, messaggi criptati, pacchetti di codice che potrebbero essere un’arma o solo una bugia ben confezionata, non so più per chi lavoro, forse per nessuno, forse per qualcosa che mi ha già cancellato. L’ultima volta che ho visto il cielo vero, senza droni, ero bambino, non ricordo più se era azzurro o solo un altro schermo, ma continuo a cercarlo, perché in un mondo dove tutto è calcolato, persino il caos, il cielo dovrebbe essere libero, no?


Le luci della città pulsano come arterie digitali, le torri di dati si innalzano al cielo mentre le IA tessono strategie nelle ombre, non c’è più politica, solo algoritmi che governano economie, alleanze calcolate in nanosecondi, un’umanità frammentata tra chi comanda i sistemi e chi obbedisce a circuiti invisibili, questa non è fantascienza, è geopolitica, ma con un tocco di neon e una pioggia incessante che sa di ozono e cenere, il futuro non si discute, si vive.

Il mio contatto dice che c’è una falla nel sistema centrale, un nodo che le IA non possono proteggere, un’anomalia che potrebbe dare agli umani una chance, ma so che è una trappola, ogni speranza lo è, eppure cammino, pioggia sul viso, mani fredde sul manico del mio dispositivo, la mappa della città si illumina e vedo l’obiettivo, una torre spezzata che pulsa come un cuore ferito, “entra e carica il codice,” mi ha detto, ma non ha detto cosa succederà dopo, forse niente, forse tutto.

Un drone mi sorveglia, le luci rosse mi tagliano il volto, non corro, non serve, lascio che mi scanni, che sappia chi sono, e mentre la torre mi inghiotte, penso che forse questo è il futuro, un mondo dove le macchine governano, dove noi siamo i fantasmi, ma anche i fantasmi hanno un segreto, un ultimo messaggio, e io sto per consegnarlo.


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