Martyrs: l’horror viscerale e imprevedibile di Laugier

Una bambina, in fuga da una fabbrica abbandonata, viene accolta in un orfanotrofio. Anni dopo, la vediamo da adulta irrompere in una casa, armata di fucile a pompa. Mentre l’amica di sempre si affretta a raggiungerla, una domanda assilla lo spettatore: per quale motivo la ragazza sta agendo così?

In breve. Singolare storia thriller ad innesco multiplo, convulsa, imprevedibile, avvincente quanto ricca di momenti decisamente cruenti (non sarà facile guardarlo per intero). Il punto da focalizzare non è tanto l’osare, il trasgredire chissà quale tabù, quanto l’immettere in circolo un messaggio preciso e, a suo modo, ancora rivoluzionario. Il “gioco” di Laugier sembra essere quello di fare concetto sull’idea di martirio: A serbian film si è spinto anche oltre, ma qui non si scherza neanche.

Non faccio parte dell’elite che scrive sui magazine e forma gran parte delle opinioni sui film; tantomeno mi piace cercare sottotesti quando non ce ne sono, anche se – senza una vera consapevolezza – della volte finisco per farlo lo stesso. Per queste ragioni vorrei improntare la mia recensione instradandola sui giusti binari da subito, dato che le cose da evidenziare in Martyrs sono tante, ed è molto facile divagare e perdersi in discorsi futili.

Per analizzare il film mi sono basato su un’intervista a Laugier disponibile ancora oggi su Youtube, che parte da un’osservazione fondamentale: da Scream in poi, piaccia o meno, è nata una corrente di horror che (triste da riconoscere) sembra non credere più alle storie che racconta. A differenza dei classici dell’exploitation anni ’70, della corrente satanica e di poche, lodevoli eccezioni analoghe, la rappresentazione del terrore è diventata sempre più “popolare”, più legata a stereotipi di genere, fumettistici quanto a loro modo ammorbidenti, collocando spesso la narrazione su situazioni facili da prevedere, stereotipate, a prescindere. Il famoso caso in cui “si strizza l’occhio al pubblico” per accattivarsene i favori, e farlo al limite sentire più intelligente della media è tutto qui: ed è proprio ciò che Martyrs, senza dubbio, non è.

Questo mi sembra il presupposto fondamentale per capire appieno lo spirito di “Martyrs“: in molti altri film si era fin troppo consapevoli che si trattasse di finzione e questo, secondo il regista, ha contribuito a smaliziare il pubblico e a renderlo (aggiungerei) particolarmente maleducato – nel senso di “non educato al Cinema“. La reazione a questo malessere, legato a problemi personali del regista, è stata la stesura di questa allucinante storia – e con risultati del tutto positivi.

Martyrs“, a dispetto di chi ne ha criticato la violenza gratuita – manco fosse il più insulso dei naziploitation, è un horror molto complesso nel suo concepimento e, forse proprio per questo motivo, facile preda di banali critiche nazional-popolari, quanto a ben vedere affascinante. La recensione che segue potrebbe contenere, inevitabilmente, qualche micro-spoiler inevitabile, a cui ho badato, in una successiva revisione dell’articolo, a fare in modo che non fosse eccessivamente “compromettente” (nota di maggio 2022).

Il regista francese Pascal Laugier, classe 1971 – che qualcuno ricorderà per “Saint Ange“, lavoro parzialmente sulla falsariga di The ward e Session 9 – è partito da uno scenario tipico nel cinema di genere (una storia di vendetta, un po’ alla Tarantino verrebbe da dire), per poi sviluppare la trama su altro, mediante una sequenza di colpi di scena uno più devastante dell’altro. E sa farlo, questo è innegabile. Il film possiede una capacità di inchiodare lo spettatore alla poltrona sfruttando situazioni sempre poco prevedibili, poco scontate, molto poco banali. E dire che la storia, al di là dei minuti iniziali, si sviluppa con un caso di “già vista” violenza casalinga apparentemente motivo, che finisce per fare da inquietante preavviso per il pubblico.

Perchè Martyrs?

Per martirio si intende, per definizione, il sacrificio della vita accettato in nome di una fede: un concetto che è risuonato minaccioso negli ultimi eventi che abbiamo vissuto a livello mondiale, dopo il collasso delle superpotenze polarizzate ed il consolidamento delle post verità personali. Laugier parla soprattutto del martirio accettato dai seguaci di una religione ma il discorso, ad oggi, potrebbe estendersi a qualsiasi credo politico, per dirla alla Zizek (o Lacan) un Grande Altro, foriero di perenne tensione morale e psicologica quanto, alla fine dei conti, identificabile con qualsiasi ideologia o principio ispiratore della propria vita.

Dicevamo la complessità di Martyrs e questo, sia ben chiaro, deve essere messo in chiaro per evitare di descrivere ciò che il film non è: Laugier ha svolto un gran lavoro di ricerca etimologica sul martirio e sulle sue implicazioni di significato, a livello religioso come culturale. Per chi ama l’horror non dovrebbe essere neanche una novità, alla fine: per quanto si possa apprezzare ad esempio Cronenberg e la sua profondità concettuale, o anche solo “divertirsi” con mostri, serial killer o famiglie dedite al cannibalismo (anche qui il rischio banalizzazione è dietro l’angolo, come detto all’inizio), non sarà facile per il pubblico medio accettare un film come “Martyrs“. Che di una violenza considerevole non fa mistero, ma la usa sempre in modo funzionale al titolo: il martirio possiede una connotazione liberatoria, pura, angelica, tanto da renderlo realmente inquietante, come pochi altri titoli. Un qualcosa che riprende, a livello di linguaggio, la tradizione dell’orrore pulp e low-cost, quello che va bene a patto che sia realistico (Le colline hanno gli occhi, L’ultima casa a sinistra), prendendo le distanze dall’horror più scanzonato o “fumettaro”.

Specialmente in tempi di crisi generalizzata come quelli che viviamo, il pubblico ha poca voglia di speculare e riflettere su ciò che ha visto – e tanta di cannibalizzare pellicole giusto per “fare numero”, per cui quando un film come questo ha qualcosa di serio da raccontare, è paradossale che il contenuto passi in secondo piano per parte del pubblico. Del resto la regia è solida, la sceneggiatura non fa una grinza e le interpretazioni sono tutte ineccepibili: Martyrs possiede un ritmo da film perfetto, ma per capire appieno quello che si è visto occorre pazientare un’ora e mezza, e a quel punto non sarà facile non distogliere lo sguardo. La violenza che sprigiona da circa la metà dei fotogrammi padroneggia e domina lo spettatore, mostrandogli sangue, umiliazioni e sottomissione psico-fisica che, come si scoprirà, sono dovute ad una vera e propria setta religiosa che finalizza la sofferenza del martirio, per l’appunto, alla ricerca dell’Aldilà e a spese delle povere vittime.

Martyrs prende spunto (anche) da Clive Barker

Se state pensando ad Hellraiser – il dolore per sublimare il piacere – siete quasi sulla giusta strada, in effetti, anche se qui le conseguenze sono spinte in modo molto più contemplativo, realistico e profondo di quanto non avvenga nel capolavoro di Barker. In tal senso i paragoni con Hostel di Roth sono fuori luogo (qualcuno ha equivocato in tal senso, in effetti) se non per la dinamica delle torture, aspetto secondario rispetto ai contenuti effettivi del film, che vanno al di là di una mera o compiaciuta pornografia dell’horror. Rimane forse come tratto comune tra queste ultime pellicole la sofferenza dell’uomo vista come un qualcosa di catartico, liberatorio e purificatore: l’asceta/vittima diventa un privilegiato, un essere superiore da idolatrare perchè del tutto immune al dolore, e sulla via della conoscenza. E se il mostro che hanno creato è così, è chiaro che sarà terribilmente più spaventoso di qualsiasi altro.

Martyrs e il torture porn

Ho letto che molti hanno scomodato il termine torture porn, espressione abusatissima fino a qualche anno fa in questo ambito, ma in questo caso la locuzione – per quello che vale – è assolutamente fuorviante ed inesatta: la violenza che subiscono le vittime di Martyrs non provoca piacere a nessuno, ma è comunque liberatoria, serve a far raggiungere uno status privilegiato (quello di martiri, ovviamente nella mente contorta degli aguzzini), e questo rende automatico riportare il discorso verso le varie forme di fanatismo (religioso ma anche, come dicevamo prima citando Lacan, politico e sociale).

Altro colpo di genio, del resto, è il fatto di rappresentare una inquietante micro-società auto-organizzata, nella quale le giovani sono lentamente massacrate anche da altre donne, mediante violenza subdola ed arrivando a perdere progressivamente i propri tratti di femminilità. Una chiave di lettura che, a suo modo, richiama metamorfosi cronenbeghiane (per non dire kafkiane) ma anche il Potere brutale rappresentato dal celebre “Salò” di Pasolini, altro film molto apprezzato da diversi amanti dell’horror per quanto anch’esso propenso ad essere mal giudicato, per via di una forma che finisce per sovrastare la sostanza.

Servono sicuramente anche film del genere, saggi di psico-horror o horror sociale che dir si voglia, e serve rivedere film del genere con uno spirito di ricerca: con più pellicole come Martyrs, probabilmente, non cambierebbero di una virgola le incomprensioni tra detrattori ed estimatori a priori ma – se non altro – la dignità del genere horror sarebbe sicuramente più preservata.

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