Milano calibro 9: il poliziesco firmato Di Leo che piacque a Tarantino

Durante una serie di traffici illeciti – nella Milano anni 70 – una valigia piena di soldi scompare nel nulla. “L’americano” vuole vederci chiaro ed inizia una ricerca del denaro, che si concluderà con conseguenze inaspettate per chiunque…

In breve. Poliziottesco cult, semplicemente imperdibile. Il primo Tarantino ha preso quasi certamente qualcosa da qui.

Fernando Di Leo firma uno splendido poliziesco a tinte noir che vede protagonisti attori del calibro (neanche a dirlo) di Barbara Bouchet, Mario Adorf ed un ambiguo Gastore Moschin, uno dei beffardi Amici miei di Monicelli.  L’azione si sviluppa in una Milano diremmo romanzesca, che vuole sembrare culla esclusiva del crimine organizzato e dove la polizia sta a guardare il proliferare di delinquenza e pacchi bomba in pieno giorno. Nel frattempo, con toni un po’ moralistici, un po’ di maniera, il nuovo vice-commissario (che sarà presto trasferito) non perde occasione per mettere l’accento sul sistema repressivo dello stato, sulla ricerca di capri espiatori facili e sulla giustizia sommaria che sembra accomunare polizia e criminalità.

Moschin (alias Ugo Piazza) interpreta un personaggio indimenticabile: se da un lato favorisce l’identificazione con il “buono” della storia da parte del pubblico, dall’altro si mostrerà cupo e privo di scrupoli fino alla fine. E questo finisce per renderlo un personaggio cult, in definitiva. Meravigliosamente sexy nella parte della “femme-fatale”, dal canto suo, la Bouchet si mostra nella famosa scena della lap-dance vestita di sole perle, e Di Leo indugia su questo molto più del necessario, con sommo gaudio della parte più voyeouristica del pubblico.

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Da ricordare inoltre che una delle scene più crude (l’aggressione con il rasoio all’uomo dal barbiere) è rimasta nell’immaginario dei cineasti a tal punto da avere ispirato Tarantino, a quanto pare, nell’omologo taglio delle orecchie nel suo Le iene. E’ il secondo film del genere che ho occasione di vedere, dopo Milano odia: in entrambi, probabilmente, la componente spietata dell’essere umano si sublima in un turbine di colpi di scena, mostrando inevitabilmente l’aspetto più animalesco dell’essere umano. Il pubblico riesce davvero a palpare la paura in varie situazioni, come nel momento in cui il figlio del barista esita prima di colpire a tradimento, come chi ha visto il film dovrebbe ricordare molto bene.

In definitiva, uno dei migliori polizieschi noir mai prodotti, assieme a Tony Arzenta ed alla maggiorparte dei film di Umberto Lenzi.

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Salvatore

Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it.