Mulholland drive: il sogno di David Lynch torna al cinema in 4K

Dopo un incidente stradale da cui è uscita clamorosamente illesa, Rita si ritrova senza memoria, ferita e sconvolta; si imbatte nella casa di Betty, che la accoglie e la accudisce per giorni. La ricostruzione del suo passato accompagnerà gran parte della storia, fino a determinare una storia oltre la realtà, in una dimensione onirica.

In breve. Un cult monumentale, che associa al feeling accattivante del thriller psicologico uno strato di subconscio represso dei personaggi . Forse uno dei film più complessi di David Lynch, ma anche uno dei più significativi assieme a Strade perdute.

Girato nel 1999 con un budget di 8 milioni di dollari, fu inizialmente concepito come pilota di una serie TV, per cui avrebbe dovuto avere un finale aperto; in seguiti la serie venne rifinanziata da Studio Canal e solo a quel punto uscì fuori un finale soddisfacente per il regista. Lynch scrisse la prima bozza di sceneggiatura di Mulholland Drive nei primi anni novanta, concependola come una sorta di spinoff sulla falsariga della serie Twin Peaks. In fase di produzione, poi, il regista aveva rifiutato l’offerta produttiva che ne avrebbe voluto tirare fuori un pilota per una serie TV, dato che riteneva esaurita l’idea e troppo dilatata. La serie non uscì mai, alla fine, nonostante si fosse quasi convinto a realizzarla, a causa del fatto che gran parte del materiale di scena era andato nel frattempo distrutto.

Su Mulholland drive tanto è stato scritto dalla critica, annoverandolo quasi tra i film più discussi che visti, dato l’immane numero di concetti, sottigliezze e mix tra realtà e sogno che lo accompagnano. Potrebbe pertanto essere interessante leggere l’intera trama, che forse più di ogni altro film lynchiano si presta ad interpretazioni aperte e soggettive, in chiave puramente psicologica, approfondendo la relazione tra i suoi personaggi ed il loro inconscio.

Ricostruzione della trama (con immancabili spoiler)

All’inizio vediamo una storia dai tratti realistici: Rita ha un incidente da cui esce illesa, esce fuori dall’auto, cammina per un lungo tratto in città e si rifugia a dormire dentro un giardino. Il giorno dopo, approfittando della partenza della padrona di casa, si introduce di nascosto in una casa per trovare riparo. Nel frattempo vediamo l’arrivo di Betty nell’aeroporto di Los Angeles: è visibilmente felice per stare realizzando il proprio desiderio di diventare un’attrice, cosa che diventa esplicita sia dal racconto dei due signori che ha conosciuto in volo che da quei sorrisi espliciti, insistiti e vagamente surreali che ne accompagnano le espressioni facciali.

Il suo entusiasmo sembra viaggiare in parallelo con l’ingenuità: in quest’ottica, l’evoluzione del film può essere vista come un trattato sulla perdita dell’innocenza, la perdita dovuta all’esperienza che avviene per chiunque in età adulta. Sarebbe stato facile trattare con rigore questo tema, ma Lynch non cade nella trappola di realizzare un film didascalico o da discutere al più nei seminari di psichiatria: cosparge la trama di accortezze semantiche di ogni genere, strizza pesantemente l’occhio alla surrealtà, collega punti della storia in modo anti-causale e senza seguire l’ordine temporale degli eventi. Non andrebbe dimenticato, peraltro, che la seriosità di Mulholland drive è soltanto parziale, come testimoniano le sequenze del tovagliolo con il caffè, la figura del regista che fa il provino a Betty senza capire granchè di quello che sta dicendo (viene anche il dubbio che non sia un riferimento ironico a qualcuno che Lynch conosce o conosceva), il killer pasticcione che uccide gente a casaccio (e che probabilmente va inquadrato nel contesto delirante in cui si trova Diane a livello mentale: lo vede così perchè aiuta a diminuire il suo senso di colpa per averlo contattato).

All’arrivo a casa, e dopo aver conosciuto Coco (altro personaggio surreale e visibilmente lynchiano), Betty trova Rita sotto la doccia, scambiandola per un’amica della zia. Fin dall’inizio, Rita viene rappresentata come un oggetto del desiderio (non sembra casuale che le riprese ne esaltino spesso l’avvenenza fisica), su cui Betty può esprimere il proprio bisogno di dare accudimento, sviluppando complicità e progressivo feeling con la donna. Non sorprende neanche che, durante le indagini sul passato di Rita, le due donne sviluppino attrazione reciproca, culminando in una relazione che, nelle immagini del film, le portano ad andare a vivere altrove (la zia rientra a casa e non ritrova nessuno).

Il fulcro della storia si sviluppa sulla scoperta della sessualità di Betty (che probabilmente non aveva avuto altre esperienze in passato, come testimonierebbe la sua innocenza), scoperta che si scontra con ciò che succederà fatalmente in seguito, che Rita nasconde nel substrato del proprio inconscio. Per citare Lacan, l’inconscio è un capitolo censurato del libro della storia del soggetto, ed è interessante notare come il vero trauma del film (che potrebbe sembrare solo incentrato su una relazione finita male e sull’esasperazione della gelosia in termini mostruosi, che caratterizzava anche film come Possession, ad esempio) risieda anche in questa pulsione muta, nel fatto che l’attrazione tra le due protagonista non sia esplicita ma solo suggerita, giocata di sottintesi, almeno fino alla sequenza in cui le vediamo nello stesso letto. Poco dopo escono per andare ad assistere ad uno spettacolo a teatro, e sia la forma di ciò che vediamo che  il loro pianto a dirotto sembra preannunciare una nostalgica fine di quella relazione.

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Il punto di rottura è proprio qui: giocando su una costruzione anti-causale che ricorda in parte un nastro di Moebius, lo stesso che Enrico Ghezzi aveva associato alla narrazione di Strade perdute, i personaggi perdono la propria identità, mentre i pezzi si ricompongono: Betty assume le sembianze Diane Selwyn, Rita quelle di Camilla Rhodes, due attrici che hanno avuto una relazione dopo essersi conosciute sul set di un film. Ciò che abbiamo visto all’inizio è espresso dal punto di vista / sogno di Diane, che si è vista abbandonata da Camilla che ha intrapreso una relazione con il regista (She is the girl, viene ripetuto come un mantra nel film).

La reazione della donna, che appare adesso in veste molto diversa (vive in una casa caotica, si rivela di natura aggressiva, è trascurata nell’aspetto ed è preda di un’ossessione verso la compagna, come testimoniato dalla sequenza in cui piange e si masturba), si esplicherà nella successiva sequenza al fast food, in cui contatta un killer su commissione per fare uccidere Camilla. I due anziani compagni di viaggio che abbiamo visto all’inizio, espressione della sua iniziale innocenza, speranza e auto-compiacimento, diventano figure fantasmatiche che la perseguitano e la terrorizzano, espressione del suo senso di colpa per quanto ha fatto, che la porterà, inevitabilmente, al suicidio nel proprio letto. Non è l’unica lettura possibile di Mulholland drive, ovviamente, e non considera nè spiega la presenza di alcuni personaggi (l’uomo sempre seduto che ascolta qualsiasi cosa, ad esempio, che potrebbe pur essere un “Grande Altro” in senso lacaniano, un qualcuno/qualcosa che spinge i personaggi a comportarsi in quel modo), ma è una spiegazione quanto più possibile compatta di Mulholland Drive e del suo discusso finale, su cui molti si sono interrogati sulla spiegazione.

Mulholland drive deposita un lascito cinematografico, narrativo e concettuale di cui il cinema si è preso carico da allora, e che abbiamo vagamente rivisto in certe sequenze (anch’esse basata su un “doppio” femminile dirompente) di Ultima notte a Soho. Tanto fu maniacale la produzione dell’opera, poi, che durante la prima distribizione fu Lynch stesso a dare precise istruzioni ai proiezionisti delle sale, in modo da evitare tagli nell’immagine (il film era girato in 16:9 ed andava adattato al formato 1,85:1).

Notevole anche il contributo musicale dell’opera, di cui abbiamo parlato in un articolo a parte, con quel jitterbug apparentemente inspiegabile che poi si colloca in ciò che il film diventa col trascorrere dei minuti (nella storia i film che venivano girati erano dei revival retro di vecchi musical, che esprimono il momento in cui la storia tra le due attrici era allo zenit). Tra l’altro la versione di Llorando di Rebekah Del Rio (la cantante che vediamo nella sequenza surreale del Club Silencio, che propone una cover in spagnolo di Crying di Roy Orbison) aveva incontrato David Lynch anni prima, proponendogli quella versione della canzone, che divenne definitiva nel film, e che venne registrata per caso dal fonico. Una delle scene più divertenti del film, peraltro, assieme a quella del killer “pasticcione su commissione” che uccide molta più gente di quanto non fosse necessario, è senza dubbio quella in cui vediamo Angelo Badalamenti – compositore della colonna sonora – interpretare l’uomo che sputa l’espresso su un tovagliolo (Luigi Castigliane).

Senza contare che sarebbe parziale, e addirittura fuorviante, considerare solo l’aspetto surreale della storia: parte della narrazione è basata su fatti realmente accaduti, come la sequenza in cui il regista sfascia l’auto del produttore con una mazza da golf si ispira ad un episodio simile con protagonista Jack Nicholson, che all’epoca era vicino di casa di Marlon Brando a Beverly Hills, Mulholland Drive, per cui l’attore di Shining venne denunciato l’8 febbraio 1994. L’auto di Robert Black era ferma ad un semaforo, Nicholson lo avrebbe insultato e gli avrebbe sfondato tetto e parabrezza della vettura, finendo denunciato per aggressione e vandalismo. Le accuse sono state ritirate dopo che Nicholson si è scusato con Blank e i due hanno raggiunto un accordo che includeva un assegno di $500.000. Nicholson vive ancora da quelle parti, e resta sostanziale la dichiarazione di Lynch che associa questa sua opera alla “storia di Hollywood” (“the history of Hollywood”). Ed è proprio questa, probabilmente, la veste più idonea da associare a quello che anche critici severi come Roger Ebert hanno considerato tra i migliori film di sempre.

Mulholland drive è da poco tornato in dieci cinema selezionati di tutta Italia, tra cui Como, Roma e Bologna, in versione restaurata digitalmente in 4K.

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Salvatore

Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it.