Programmava da 36 ore
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Nel buio cupo di una notte d’inverno, nell’angolo più oscuro di un ufficio deserto, un giovane programmatore di nome Ethan si aggirava dietro il suo computer. Aveva sentito parlare di una scadenza imminente, un progetto critico che doveva essere completato senza ritardi. Ma l’ansia lo aveva spinto oltre ogni limite ragionevole. Sapeva che doveva programmare senza sosta.

Le ore passavano come ombre in fuga, mentre Ethan digitava freneticamente codice dopo codice. I suoi occhi bruciavano, ma l’adrenalina e la paura del fallimento lo tenevano sveglio. La luce fredda del monitor illuminava il suo volto pallido, mentre il rumore monotono della tastiera risuonava nell’aria gelida.

Le lancette dell’orologio sembravano muoversi a una velocità sempre maggiore, eppure il tempo sembrava trascinare lentamente. Ethan era intrappolato in una spirale di codice e caffè, persino il suo corpo sembrava dissolversi nell’etere digitale del suo lavoro. Le ombre si allungavano e si accorciavano, creando una danza inquietante intorno a lui.

La stanchezza lo colpì come un pugno, ma Ethan continuava a lavorare. I suoi occhi si annebbiarono, e le linee di codice sembrarono fondersi in un unico riverbero. Mentre digitava, le dita sembrarono diventare parte della tastiera, una simbiosi macabra tra uomo e macchina.

All’improvviso, un brivido corse lungo la schiena di Ethan. Qualcosa non andava. Sospese il suo movimento e cercò di allontanare le dita dalla tastiera, ma non poteva muoverle. Le dita erano imprigionate, catturate come in una morsa invisibile. Panico e dolore si mescolarono nel suo cuore palpitante.

Ethan tentò di urlare, ma la sua voce sembrava soffocata dall’oscurità che lo circondava. Le dita erano sempre più strette, come se la tastiera stesse cercando di trascinarlo dentro di sé. La sua carne era schiacciata, le ossa frantumate dalla presa implacabile.

Nel suo ultimo istante di coscienza, vide le luci del monitor vacillare e mutare in toni sinistri. La sua mente si fonde con il codice, la sua identità si dissolve nell’etere digitale. Ethan era diventato uno con la sua creazione, una parte indistinguibile del mondo virtuale che aveva forgiato con il suo sacrificio.

Da allora, si dice che nei corridoi vuoti di quell’ufficio, si possa ancora sentire il suono di tasti che si premono, anche quando non c’è nessuno intorno. Gli spiriti dei programmatori passati sussurrano di notti senza fine passate dietro le tastiere, di sacrifici offerti all’oscurità del codice. E se osi sederti di fronte a quella stessa tastiera, potresti sentire le dita di Ethan trattenerti, trascinarti verso l’abisso digitale, dove la realtà e il codice si mescolano in un caos eterno.

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