Riflettere sulla complessità: anche gli elettroni non si fanno guardare


Viviamo anni in cui la complessità è tabù, in cui si prova e va di moda il riduzionismo terra-terra, nel quale gli “spiegoni” valgono zero, annoiano e sono all’ordine del nulla – e se ne scrivi “troppi”, come mi è capitato, ti becchi critiche anonime via email per averne propinati. Viviamo in anni degeneri, in altri termini, rispetto alle origini beatamente razionaliste e post-illuministe in cui ci illudevamo (mi illudevo?) di vivere, in cui sembrava che ci fosse un crescendo di sapere, di scienza e coscienza, mentre poi al blando positivismo di ogni ordine e grado ha preso piede una rivoluzione silente.

Lo scienziato osserva, valuta, prende nota, formula teorie dalle proprie osservazioni.

Da sempre abituati a considerare l’osservazione di un fenomeno come un atto “neutro”, capace di cogliere la realtà senza alterarla, ci siamo trovati di fronte a una sconcertante verità: le cose non si fanno guardare. Nemmeno gli elettroni, elementi fondanti della materia, si lasciano osservare senza reagire: questo concetto, introdotto dal principio di indeterminazione di Heisenberg, ha rappresentato una svolta epocale, nella fisica moderna.

Ha posto fine all’illusione di un’osservazione oggettiva e neutrale, rivelando piuttosto la profonda interazione tra l’osservatore e l’osservato. Non si tratta dell’unico caso, del resto: le app per l’intelligenza artificiale pronosticano e diagnosticano senza sosta, in alcuni casi la data della nostra morte, portando al macabro parossismo quelle che nascevano come semplici inferenze su “fatti” o informazioni digitalizzate. Che ne sa una IA di quanto ci resta da vivere? Non se sa nulla, lo sappiamo, eppure proviamo anche noi a fare uso dell’app, capirai, tanto è gratis. Forse. Perchè pure la vita è gratis, e l’app ci ricorda la vita. Al netto di tasse e multe, spesso inconcepibili, non osservabili, incomprensibili eppure lì, monolitiche e ben formalizzate. A questo mondo nulla è certo tranne la morte e le tasse era, del resto, un vecchio ed attualissimo adagio di B. Franklin.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg afferma che non è possibile misurare simultaneamente con precisione la posizione e la quantità di moto di una particella elementare, come un elettrone. Questo, si badi bene, non è dovuto a una limitazione tecnologica o alla nostra mancanza di strumenti di misurazione sofisticati, ma è intrinseco alla natura stessa del mondo quantistico. Quando cerchiamo di osservare un elettrone per determinarne la posizione, infatti, dobbiamo interagire con esso attraverso fotoni o altri mezzi di rilevamento. Tuttavia, questa interazione altera la traiettoria dell’elettrone, rendendo impossibile determinare simultaneamente la sua posizione e la sua quantità di moto con precisione infinita. In altre parole, il semplice atto di osservare un elettrone ne cambia lo stato, rendendolo incoerente con quello che sarebbero stato se non lo avessimo osservato. È un’indicazione lapidaria, diretta e ben comprensibile della complessità e dell’interconnessione dei fenomeni che vanno oltre la nostra comprensione intuitiva. Alla faccia delle spiegazioni terra-terra, le stesse che ci coccolano ipocritamente mentre osserviamo – Heisenberg permettendo – il mondo alla deriva.

La fisica, scienza dura per eccellenza, considerata da molti come la più esatta e obiettiva tra le scienze, ha dovuto confrontarsi con questa nuova realtà. L’idea di una realtà indipendente dall’osservatore è stata messa in discussione, portando a una nuova era di ricerca e comprensione. Tuttavia, questa sfida concettuale non è stata solo una disfatta inesorabile per la nostra visione tradizionale del mondo, ma anche un’opportunità per una maggiore consapevolezza della complessità e della bellezza della natura. L’incertezza non è più vista come una limitazione, ma come una caratteristica fondamentale della realtà, che apre le porte a nuove possibilità di scoperta e comprensione.

Quando gli elettroni non si lasciano guardare senza reagire ciò non rappresenta una sfida esclusivamente per la fisica moderna, ma anche un’invito a esplorare la complessità e l’interconnessione del mondo che ci circonda. L’atto di osservazione diventa così non solo un mezzo per acquisire conoscenza, ma anche un viaggio verso la comprensione più profonda della realtà.

[…] a partire dal XX secolo in tutte le scienze si è dovuto rinunciare al concetto di osservazione oggettiva e neutrale sui fenomeni, comprese le scienze considerate epistemologicamente più “forti” come la fisica (cfr. ad es. il principio di indeterminazione di Heisenberg: perfino un elettrone non si lascia osservare senza reagire).

(liberamente tratto / ispirato dalla lettura di PSICODIAGNOSTICA del CENTRO STUDI PERIZIE DOTT.SSA SARAH LA MARCA)

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