The hater: i social sono più reali di quanto possa sembrare

Tomasz è appena stato cacciato dall’università a cui si è iscritto, e per sopravvivere fa lo stagista in una agency dove possiede un singolare compito: fomentare l’odio sui social e pilotare commenti, opinione pubblica e quant’altro. Un giorno conosce il potente boss di una troll farm.

In breve. Il cinema ha a volte fuorviato in ambito hacking e social media, mostrando “nativi digitali” insignificanti come protagonisti e storie che, nella migliore delle ipotesi, erano gli stessi thriller ed horror di sempre “traslati” nel virtuale. “The hater” è una notevole eccezione alla regola, e mostra finalmente un film d’autore solido, realistico ed inquietante.

Un diffuso stereotipo impone che i social network siano dei “giocattoli” da cui uno possa staccare a piacimento: del resto, tra bot e fake news è facile convincersi che dietro lo schermo, in molti casi, non ci siano davvero altri esseri umani. In realtà gli uomini ci sono sempre, solo che – come il protagonista di questo film – rimangono ben nascosti. Questo il messaggio che lancia l’ambizioso film di Komasa, non nuovo a riflessioni del genere ed influenzato visibilmente da fatti di cronaca e da un piglio narrativo che ricorda, almeno in parte, il David Cronenberg di Videodrome. Se il “nuovo uomo” che stava nascendo, si stava innestando inesabilmente con le macchine – ed era condizionato da una TV pirata che trasmetteva film snuff -, sembra plausibile che l’analogo, oggi, possa esserlo internet ed i suoi social network.

Nell’ambito di una riflessione “d’autore” sul tema della manipolazione indotta dai social, The hater raggiunge vette difficilmente toccate da altri film: questo sia per una forma di freschezza di fondo sia grazie ad un intreccio decisamente originale e imprevedibile. C’è da premettere, comunque, che The hater è uno spinoff tratto da un altro film dello stesso regista (Suicide room, del 2011), ma non sembra strettamente necessario (per inciso) vedere prima l’uno e poi l’altro.

Girato a Varsavia tra ottobre e dicembre 2018, The hater (con riferimento alla figura dell’hater che, nel gergo internet, è colui che fa il cosiddetto trolling, cioè commenta negativamente i contenuti di una parte politica o sociale avversa per il gusto di attirare l’attenzione su di sè, come minimo) è costruito su uno script dello sceneggiatore Mateusz Pacewicz. Con qualche passaggio leggermente prolisso ma mai realmente pesante, il film la storia di un feroce ed insospettabile hacker dei social media, stipendiato da una agency per pilotare l’opinione pubblica e diffondere campagne d’odio mirate (spesso di natura politica). Per farlo, crea o acquista account farlocchi, diffonde fake news, dissemina le zone sensibili di microspie e si nasconde dietro a server proxy.

La regia di Jan Komasa è solida e ispirata, sulla falsariga di alcuni episodi di Black Mirror (Vota Waldo!, The National Anthem); in secondo luogo, il regista si ispira anche a film come The social network, catapultandoci in un mondo ovattato fatto di selfie, chat private, gruppi Facebook e uomini che agiscono nell’ombra, rispettivamente al fine di screditare o esaltare l’influencer di turno. Ma non si tratta solo di questo: The hater delinea minuziosamente la figura di un disinformatore di professione, Tomasz, nascosto dietro l’aria candida e imperturbabile di un ex studente di legge, cacciato dall’università per plagio. Il suo vero talento è quello di provocare sui social, lanciando hashtag infamanti e distruggendo a piacere la reputazione di chiunque. Fosse solo questo farebbe quasi sorridere: le conseguenze delle azioni “virtuali”, pero’, avranno pesanti conseguenze nella realtà (e, come se non bastasse, il film ha anche avuto una valenza vagamente profetica in relazione ad un tragico fatto di cronaca in Polonia).

L’inquietante anti-eroe del film: Tomasz

All’inizio si finisce quasi per simpatizzare per Tomasz: ha l’aria innocente da secchione o vittima segnata dei bulli, viene beccato a copiare un progetto al primo anno di università, si fa cacciare poco dopo dal preside di facoltà. Assistiamo poi alle sue disavventure amorose con la ragazza di cui è invaghito, che lo friendzona senza troppi complimenti. Sarebbe il simpatico nerd di provincia con cui empatizzare (ed al limite immedesimarsi), ma qui viene il bello: anzichè riversare la propria insoddisfazione in atti sempre più criminali a titolo personale, Tomasz agisce spietatamente attraverso la manipolazione altrui. Il ragazzo non è quello che sembra: si rivela cinico e calcolatore, arrivando ad esempio ad inserire una cimice all’interno dell’abitazione della ragazza di cui è innamorato, al fine di monitorarla a distanza. Tomasz è anche stagista presso una agency di natura molto dubbia, che si occupa di manipolare i social media allo scopo di screditare avversari o esaltare (sulla scia dell’hype, della creazione di fake news ad arte e del populismo) i propri clienti (che non vengono mai nominati esplicitamente, per inciso).

Ben lontano dall’essere un banale furbetto di periferia, cura ossessivamente la propria immagine e, nell’ombra, si rivela un autentico hacker black hat dei social media, tanto da riuscire (grazie a buone conoscenze tecniche, esperienza e a un’incredibile presenza di spirito) ad accattivarsi le simpatie del boss di un’azienda ancora più grossa che, tra le altre cose, si occupa di marketing politico.

È anche interessante notare la genesi del personaggio, che è un abile troll di professione, abituato ad ingannare chiunque altro, e si fa fomentare dalle sue pene d’amore per diventare sempre più sfacciato e privo di scrupoli. Un anti-eroe moderno, che si mimetizza tra le persone di ogni credo politico e strato sociale, ed è anche l’unico personaggio della storia a mantenere lucidamente distinte la propria immagine reale e quella social. Di base è un frustrato, parzialmente reietto dalla società, che interpreta il proprio riscatto in maniera egocentrica, in modo simile – al netto delle conclusioni della storia, ovviamente – al Joker di Phillips. Con la differenza fondamentale che il protagonista, alla fine, continua imperterrito nella propria missione di disseminazione di odio online.

Cosa sono le troll farm

Una troll farm o troll factory è un gruppo istituzionalizzato di persone (dette troll) che, con varie modalità, cercano di interferire sul normale flusso informativo sui social network. Ogni tanto le cronache raccontano dei follower fake dei profili dei politici, ad esempio, e questo è uno degli esempi più classici di lavoro da parte di una troll farm. Ovviamente non tutti i casi di trolling sul web sono troll farm, visto che in molti casi si tratta di persone isolate che agiscono in questo modo per puro egocentrismo (si veda anche l’episodio Anime perse di South park, a riguardo, episodio 3 serie 20).

Quella che nel film sembra una tipica azienda di informatica, organizzata nel più classico degli open space e all’interno del consueto palazzo futuristico, è una agency web che sembra proprio una troll farm: o meglio, nella cui sede c’è almeno una divisione troll farm. Si tratta di aziende realmente esistenti, che ogni tanto finiscono nei fatti di cronaca – quasi sempre per questioni di marketing politico scorretto o poco etico, con vari candidati alle elezioni che, in tutto il mondo, sfruttano questi servizi per ottenere fake follower, finto consenso sui social, censura dei commenti negativi, esaltazione di quelli positivi e via dicendo.

The hater e la tecnologia

Anche in questo caso lo script del film – che, come in Black Mirror, mostra tecnologie e possibilità reali, senza farsi prendere dal gusto per l’iperbole poco plausibile – evidenzia al tempo stesso la totale mancanza di etica della società di Beata Santorska, che non solo minaccia e maltratta i propri dipendenti ma, soprattutto, lavora nell’ombra per disinformare sui social media, pilotare l’opinione pubblica su temi sensibili e così via. Messo alla prova dagli stessi, Tomasz si rivela un asso nel riuscire a distruggere la popolarità di una influencer che pubblicizza prodotti alla curcuma, e viene spostato nel reparto che si occupa di marketing e spionaggio politico. Altra perla di realismo, peraltro, è legata al fatto che quando Tomasz contatta il “lupo solitario”, sfrutta gli alter ego di un videogioco di ruolo, il che (a parte sembrare grottesco) è ben lontano dall’essere un vezzo da nerd: in molti paesi in cui internet è censurata, ad esempio, vari videogame vengono realmente usati come “zone franche” per poter effettuare comunicazioni libere, visto che il blocco generalmente riguarda programmi di chat e social network (neanche a dirlo).

Qual è il significato del film The hater?

Pur nella sua evidente natura di fiction romanzata, con sprazzi di notevole realismo, mai artefatti e sempre plausibili, The hater racconta al pubblico come i social media possano influenzare le vite di tutti, fino a condurre a conseguenze estreme. Le stesse conseguenze a catena ed incontrollabili che, per inciso, avevano raccontato film significativi e shockanti come American History X.

I social media possono fomentare odio e razzismo, e questo odio può avere conseguenze tragiche a qualsiasi livello – ma non è solo la denuncia sociale alla base dell’intreccio: Tomasz continua ad operare nell’ombra fino alla fine, senza che nessuno sospetti del suo alter ego online e riuscendo, come se non bastasse, a ricattare l’unica persona che avrebbe potuto sbugiardarlo (la Santorska).

Il film si basa su un fatto realmente accaduto?

Non è esatto dire che The hater si basa su un fatto vero, anche se – raccontano le cronache – appena tre settimane dopo la fine delle riprese avvenne realmente un evento simile a quello che chiude tragicamente la storia. Il sindaco di Danzica del tempo, Pawel Adamowicz, oggetto all’epoca di una pesante campagna d’odio online, venne assassinato durante un evento di beneficenza. Il parallelismo con il personaggio di Rudnicki (il candidato a sindaco che il protagonista raggira più volte, facendo doppio gioco) è raggelante; ma il fatto di cronaca è avvenuto quando il film era stato girato e, ovviamente, non era ancora uscito.

The hater ha vinto il premio come miglior lungometraggio al Tribeca Film Festival, ed è uscito su Netflix – poichè la distribuzione, impedita nel farlo uscire regolarmente a marzo per via della pandemia, ha ripiegato sulla distribuzione on demand.

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