The void: l’horror enciclopedico e autocelebrativo di Gillespie e Kostanski, bello quanto dimenticabile

Un agente di polizia trova per strada una persona ferita, in apparente stato confusionale: una volta recatisi in ospedale, si accorge che l’edificio è stato circondato da varie figure incappucciate.

In breve. Un horror difficile da giudicare: se gran parte del mood è positivo, e la regia sembra convinta quanto originale, il film sembra perdersi in digressioni splatter fini a se stesse, che  poco danno e poco tolgono, oltre che tendono a far perdere di vista il focus della trama. Si racconta di una intrigante “discesa negli inferi”, fin troppo sentita, quasi certamente già vista.

Finanziato da un crowdfunding su Indiegogo (budget complessivo di 82,510 dollari), paraculisticamente annunciato “dallo stesso produttore di The Vvitch” e realizzato con massiccio uso di CGI, viene lanciato da una consueta tagline minacciosa ed espressiva: “C’è un inferno, e questo è peggio“.

In effetti si intuisce da subito che ci sia poco da “scherzare”, in termini di credibilità della trama e di caratterizzazione dei personaggi, fin da subito sinistri, minacciosi e dal tipico modo di fare nichilista e sbrigativo già visto in decine di survival horror. Non ci vuole troppo, poco dopo, perchè la narrazione evolva nello splatter più esplicito che si possa concepire, schizzando in modo imprevedibile su vari registri e prefigurando uno scenario che evoca sia La cosa (l’essere mostruoso che usa corpi umani per replicarsi) che (in parte) Distretto 13 – Le brigate della morte (lo scenario claustrofobico e i personaggi che, come già nell’altro, non si fidano l’uno dell’altro, e ricorrono a strategie di sopravvivenza improvvisate quanto “romeriane” – La notte dei morti viventi è proprio il film che guarda uno dei ricoverati in ospedale, per inciso).

Vedo un mostro che si vede Dio. Io ho sfidato Dio!

Una cosa è certa: in questi casi è fin troppo comodo per qualsiasi recensore evocare i racconti di H. P. Lovecraft, cosa che ha reso accettabile qualsiasi film fuori dalle righe, irrazionale e multi-dimensionale, arricchito da orrori extraterrestri e dimensioni parallele in cui i personaggi rimangono intrappolati. Cosa piuttosto sbrigativa, in questo caso e che un film del genere a mio parere non giustifica del tutto: non fosse altro che sembra partire con determinate intenzioni, per poi evolvere su ben altro, sequenziando le varie scene in una maniera abbastanza subdola e poco prevedibile, quasi da sembrare inintelleggibile. The void evoca vari sottogeneri e in fondo non è un horror vero e proprio, proprio perchè sembra, in più momenti, un collage di idee diverse tra loro, messe insieme con entusiasmo (senza dubbio) ma in modo non sempre chiarissimo, mediante trovate a volte azzeccate (le creature che covano la propria stirpe violando corpi umani) altre meno (certe dinamiche in cui la gente si ritrova sgozzata quasi senza sapere come o perchè).

E se le sequenze più cruente mi hanno ricordato Hellraiser (nuovi supplizianti che promettono vita eterna, in risposta al sempiterno dramma della morte di un figlio, per cui varrebbe la pena evocare film inossidabili come Don’t look now), l’aspetto di alcuni personaggi non ho potuto che ricordarmi (almeno per qualche istante) il moloch visto ne La fortezza, uno degli horror ottantiani potenzialmente più belli (e altrettanto incompiuti) mai visti su uno schermo.

In definitiva The void è un horror compatto e relativamente convincente, che pero’ presenta il difetto sostanziale di proporre più forma che sostanza, preso com’è dall’entusiasmo e dalla briga di citare didascalicamente i classici del genere. Sia chiaro che il gioco del cinema passa anche questo genere di trovate, che possono rasentare la vera e propria manìa autocelebrativa senza sfigurare: ma se questo, come secondo me accade, finisce per far perdere di vista il focus (al punto che i personaggi sembrano soltanto sciocchi burattini destinati alla morte), ovvero un insieme di (stereo)tipi da survival horror, in cui si lotta per la sopravvivenza senza sapere cosa-cazzo-succede, chiaro che le valutazioni troppo entusiastiche dovrebbero essere messe aprioristicamente al bando. Pare anche che i registi abbiano invitato il pubblico a farsi un’idea personale sulla storia, lasciando volutamente molti riferimenti non specificati, e ciò rende The void un film horror sperimentale a pieno titolo, per cui potrebbe avere un senso l’ennesima rivalutazione incensatrice tra una ventina d’anni circa (e buon divertimento a chi lo riscoprirà, dato che adesso non ce la possiamo fare).

Un film del genere è anche puramente carpenteriano, lo è così tanto (soprattutto nella scena clou del “regolamento di conti”) che è impossibile non pensare a Il signore del male, con i suoi riferimenti ad un’altra dimensione oscura e ad un futuro minaccioso quanto imprecisabile. C’è anche una setta di mezzo (l’elemento cardine di ogni horror moderno, a quanto pare, deve essere sempre una setta), figure incappucciate con un triangolo nero al posto del viso che potrebbe ricordare, per certi versi, i guardiani del citatissimo Squid Game in voga su Netflix (The void è disponibile su Amazon Video, per inciso).

E quel finale che ha lasciato tanti di stucco, allora, che spiegazione ha? Impossibile provare a dare indizi senza considerare un precedente celebre di cui, per la veritá, non si fa esplicita menzione, ma qualche recensore si è accorto lo stesso. Il finale di The void sembra infatti calcare apertamente quello, altrettanto surreale, de L’aldilà di Lucio Fulci, giusto con più mezzi visuali e un mood più rassicurante: come a dire che i due personaggi sono assieme, per sempre, più o meno al sicuro, in un mondo extrasensoriale che potrebbe essere l’aldilà, appunto, che si svelerà al momento della morte. Vale la pena di ricordare la frase che chiude il capolavoro fulciano, guarda caso anch’esso ambientato parzialmente in un ospedale, ovvero: E ora affronterai il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di esplorabile.

E dagli anni ottanta per il momento è tutto.

Dalla parte di The void, e in favore di una valutazione mediamente positiva, muove anche la sua brevità, il suo non tirarla per le lunghe, la sua capacità di far switchare i personaggi da una situazione normale ad una extra-ordinaria senza perdere colpi, ambientazione, dettagli o (per dirla con una parola semplice quanto poco utilizzata in ambito horror) credibilità. Ma c’è anche quell’effetto “minestrone” – Minestrone Valle dei Morti, probabilmente – a cavallo su più fronti, pronto a restare sul pezzo e assumere ora la parvenza del nuovo Inferno, poco dopo chissà che altro. Il tutto, insomma, rende davvero difficile per lo spettatore comprendere a che punto della trama si sia arrivati, con il dilemma di spalancare la porta della noia, quasi in corrispondenza del momento in cui un portale extradimensionale si apre sullo schermo.

Non che The void sia un brutto horror, anche perché scrivere una cosa del genere sarebbe ingiustificato: ma non è nemmeno il film da riscoprire di cui molti hanno scritto, anche perché denota un limite evidente a livello narrativo per cui la sceneggiatura avrebbe fatto meglio ad ispirarsi seriamente a Lovecraft, invece che lasciarlo come riferimento vago (e sia pur riconoscendo l’evidente conoscenza dei classici che i due registi hanno sfoggiato). Non ci sono solo Lovecraft e Carpenter in The void: ci sono anche Lucio Fulci, Clive Barker, forse addirittura Dario Argento e Michele Soavi, per non parlare di George Romero e dei suoi immarcescibili morti viventi. Oltre un certo limite, è veramente troppo per poter osannare un vero e proprio capolavoro, senza limitarsi  – in modo più equilibrato, secondo noi – a constatare che questo film sia proprio come quello di Michael Mann: un potenziale capolavoro che vive di incompiutezza, questa volta ingiustificata rispetto alla situazione in cui si trovava il regista statunitense.

Un horror canadese da vedere per curiosità, senza dubbio, con la certezza di non assistere al consueto delirio randomico di psicopatici e vittime urlanti, ma che rischia lo stesso di farsi dimenticare con la stessa velocità con cui si guarda, al netto degli entusiasmi che provocano determinate sequenze e alla sensazione positiva che accompagna gran parte della sua visione. Manca qualcosa, e non riusciamo a saperne di più: lo guardiamo, e tanto basta.

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