The mist di Darabont è uno dei migliori film tratti da Stephen King

Recatosi al supermarket per fare alcuni acquisti, il giovane artista David rimane intrappolato all’interno del locale assieme al figlio ed al vicino di casa: una pericolosa nebbia è calata improvvisamente nella zona, e sembra provenire da una vicina base militare…

In breve. Ritmo, suspance e quel giusto di splatter per una delle migliori trasposizioni kinghiane recenti mai realizzate per il grande schermo. Da vedere.

Tratto dall’omonimo racconto di Stephen King (potete trovarlo nella raccolta “Scheletri“), “The mist” è un horror estremamente debitore dei più classici topoi dei b-movie del genere: l’atmosfera post-apocalittica che si respira quasi dall’inizio, e l’ambientazione più corposa, quella all’interno di un market con persone intrappolate al suo interno, che non può che evocare Zombi di Romero. La stessa nebbia, del resto, farebbe sospettare un qualche collegamento con quella sinistra ed oscura che avvolge gli abitanti di Antonio Bay (“The fog” di John Carpenter, 1980): in questo caso pero’ si tratta di un pericolo molto più accentuato e, se vogliamo, materiale. Abbiamo la presenza dei classici personaggi che popolano, più o meno tipicamente, gli intrecci del cinema di genere horror: l’eroe ragionevole, la fanatica religiosa, il bambino innocente, l’operaio spicciolo e privo di mezzi termini.

E poi, naturalmente, “loro”: le creature malvagie, che sembrano uscire fuori dai monster movie di ogni tempo e luogo, per quanto la loro realizzazione in digitale evochi creature cibernetiche che, in altri contesti, sarebbero a mio avviso dovute sembrare più “organiche”. Critica che mi sento di fare apertamente perchè “The mist” è globalmente un buon film, ricco di suspence, colpi di scena e dallo sviluppo ampiamente imprevedibile ed accattivante (il finale, tragico e imprevedibile – voluto dal regista – cala sullo spettatore come un colpo di scure inesorabile e assassino). In fondo, a ben vedere, si ha un’unione inedita tra le due principali correnti diffuse nel cinema horror: quella dell’orrore esteriore, quasi lovecraftiano, che gioca con le proprie vittime come se fossero burattini, unita a quella interiore, proveniente soltanto dalla natura capricciosa, mutevole, manipolabile ed intrinsecamente malvagia dell’uomo sull’uomo. Questo nonostante la presenza di un classicissimo eroe nel quale sarà immediato identificarsi, e vi garantisco che – per quello che conta – il tutto si manterrà al di fuori del canoni buonisti hollywoodiani fino all’ultimo fotogramma.

Una pellicola che smentisce la tendenza al “low budget” (che spesso sconfina, per altri lavori simili, nel trash) e regala al pubblico un cinema del terrore attuale, di buona qualità e da cui sarà facile rimanere profondamente affascinati.

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