Un gruppo di ragazzini vessati dal bullismo o emarginati per vari motivi (legati a traumi familiari, animalismo, religione, balbuzie, discriminazione razziale, violenza o discriminazione sessuale) si coalizza per combattere un misterioso pagliaccio killer che, a quanto pare, tormenta ognuno di loro.
In breve. Horror ben realizzato e da gustare appieno, al di là dell’etichetta di remake, che risulta più fastidiosa che altro. Tanti ingredienti sono quelli di sempre, senza troppa reinvenzione, ma quello che ne risulta alla fine è sicuramente degno di nota.
Se i presupposti del nuovo IT – targato 2017 e realizzato da Andy Muschietti, chiamato a dirigere una sceneggiatura scritta da Cary Joji Fukunaga – sono quelli del fanta-horror adolescenziale che abbiamo visto in ogni salsa (soprattutto di produzione USA: un sottogenere che deve qualcosa sia allo slasher classico che al classicone Sleepaway Camp), la filosofia horror di fondo rimane solidamente quella di Nightmare: Pennywise non è troppo diverso da Freddy Krueger, essendo abili entrambi a sbeffeggiare le debolezze e le paure di ogni ragazzino, in grado di camuffarsi in un non-luogo imprecisabile e, al tempo stesso, di palesarsi nella realtà mediante brutali omicidi.
La pratica dei remake, del resto, viene troppo facilmente sbeffeggiata dai cinefili di ogni ordine e grado, che tendono a vederli automaticamente come “soprusi” prima ancora di guardarli (è spesso fondato come pregiudizio, ma perchè evitare La casa di Alvarez, ad esempio?). Quello che vedremo qui è un horror dignitoso e ben realizzato, a tratti alquanto spaventoso ma con un problema di ritmo che quasi certamente, alla prova dei fatti, dipende esclusivamente dal romanzo originale.
Il paragone tra Günther Skarsgård e Tim Curry – se per certi versi non ha troppo senso – lo fa sembrare meno spaventoso (valutazione rigorosamente soggettiva) ma, se non altro, la nuova interpretazione lo ha reso un villain più moderno, a tutto tondo. Non più il classico pagliaccio assassino anni 80, talmente iconico da essere parodizzato nell’indimenticabile unicum Pagliacci assassini dallo spazio profondo, quanto un villain completo, profondamente espressivo ed altrettanto lugubre in ogni movenza. Senza scomodare paragoni fuori portata, IT è anche un’operazione di rivitalizzazione del personaggio che avevamo già visto, a livello un po’ più autoriale per la verità, in lavori come Leatherface. Anche solo per questo, il nuovo IT (per quello che si vede nel primo episodio) andrebbe lodato in maniera incondizionata.
Per quanto riguarda l’ispirazione, il protagonista – con appena quattro minuti di dialoghi in tutto il film – trae spunto dalla visione di classici della caratterizzazione drammatica come Shining (1980), Arancia meccanica (1971), Il cavaliere oscuro (2008) e, a quanto pare, Il silenzio degli innocenti (1991). Anche qui parliamo di un grado di immedesimazione talmente profondo che lo stesso Skarsgård, oltre a sentirsi vagamente ridicolo per avere fatto il provino vestito da clown, racconta di aver avuto numerosi incubi durante la post-produzione. Come nella tradizione horror ottantiana, la versione di IT di Muschietti prova a proporre una discreta analisi sociologica dell’epoca, parlando apertamente, senza pesantezza e secondo lo schema narrativo collaudato del sopruso-iniziale e della vendetta-molto-più-avanti-nel-film, una cosa che abbiamo visto nel cinema ‘mmerigano un po’ in tutti i casi in cui l’età media dei protagonisti era bassa. L’horror è una chiave di lettura incredibilmente flessibile in questi casi, e ben si adatta anche a questo: e se molto orrore è esplicito, molto altro è implicito ed ancora più lugubre (vedi, ad esempio, gli interminabili fotogrammi che suggeriscono un’attrazione morbosa del padre di Beverly verso la figlia).
Al tempo stesso, l’intreccio fa scattare varie scintille di vitalità sul percorso di crescita degli adolescenti, che vediamo maturare, reagire agli abusi, fare amicizia ed esperienza come imposto dal romanzo originale. Ragazzini dall’aria mite contrapposti a piccoli delinquenti con la maglietta degli Anthrax (sic), che poi scoprono anche la prima sessualità senza esserne troppo consapevoli. A tale riguardo, la pluricitata scena di sesso di Beverly – che nel racconto originale ha un rapporto con ognuno dei ragazzi della comitiva, una volta finito l’incubo – in questo remake si confina ad un semplice bacio con il solo Bill. Un mood magari gradevole per il pubblico ma piuttosto lontano, in ogni senso, dalla visione giocosa, vagamente non sequitur che ha appassionato i lettori del romanzo di King.
Questo nuovo IT, senza pensare alla serie TV che ha reso celebre la storia (un lavoro più citato pomposamente che visto, alla fine) è un horror moderno e gradevole, in cui la durata eccessiva sembra essere, alla prova dei fatti, l’unico sostanziale difetto. C’è infatti da specificare che questo film soffre in misura spaventosa (e purtroppo non è un pregio, pur essendo un horror) del problema della lunghezza: non mi sarei mai aspettato un cortometraggio, ovviamente, ma nemmeno un ennesimo kolossal del terrore diviso in due parti. Soprattutto perchè questo lavoro si sintonizza sulle frequenze dell’horror moderno, che fa della velocità e del ritmo una componente irrinunciabile. E quindi forse è questo a creare qualche crepa nella visione, che comunque è da considerarsi più per l’aspetto emozionale che per quello astrattamente artistico.
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