Si tratta del terzo film David Cronenberg, la prima opera lunga vera e propria dopo i medio-metraggi low-budget Stereo e Crimes of the future: qui inizia il vero e proprio body horror, l’orrore del corpo, l’insinuazione di parassiti estranei in corpi inconsapevoli e la fortissima critica agli abusi e alla presunzione di un certo tipo di scienza.
In breve: altri tasselli del pensiero-Cronenberg, tra controllo delle menti, sesso come sopraffazione e parvenza di normalità di un mondo malato.
“È un’arca di gran lusso, un complesso residenziale unico al mondo, ideato per difendervi dalla contaminazione e dai pericoli della città. Qui in quest’isola tutta vostra nel mezzo del fiume, niente inquinamento, niente violenze, aggressioni, delitti, immoralità: la città è vicina, ma la sua vita corrotta e corruttrice in tutti i sensi ma sarà sempre lontana da voi. Lasciate qui, assieme alla vostra auto, tutte le tensioni e le preoccupazioni, tutti i lati negativi dell’esistenza… e un grande parcheggio esterno accoglierà tutti gli ospiti che verranno a raggiungervi in quest’oasi, una volta arrivati, molti non vorranno più lasciarla…” (Ronald Merrick, dall’introduzione del film)
Ho voluto trascrivere quasi interamente la voce narrante che si sente all’inizio perchè credo che riassuma perfettamente lo spirito del film: mettere in risalto l’ipocrisia di qualsiasi proclama consolatorio, mostrando senza pietà la degenerazione umana dal punto di vista dell’egoismo umano e della mercificazione sociale e sessuale. Non a caso, come ha notato Gianni Canova nel suo libro sul regista, il dottore protagonista si chiama Hobbes come il celebre filosofo dell’ “homo homini lupus“.
Cronenberg ha voluto, a quanto sembra, rappresentare un immaginario luogo di risonanza biblica – l’Arca di Noè, per l’appunto – destinata a contenere i rappresentanti di una nuova razza umana: non migliore della attuale, bensì degenerata, malata, corrotta e schiava dei suoi desideri. Per rendere l’idea da un lato il regista canadese inchioda gli spettatori alla poltrona mostrando delle “cose” striscianti, una specie di sanguisughe che divorano le vittime dall’interno e che si trasmettono per via sessuale; dall’altro mostra una visione piuttosto atipica del sesso, definibile letteralmente come viscerale (in tutti i sensi!).
Questo Cronenberg prima maniera sembra guardare con particolare disprezzo – ma, bisogna dire, con un costante barlume di razionalità – le futilità dettate dal consumismo e dal culto dell’apparenza, quasi fosse una sorta di incrocio tra il rifiuto “punk” della società ed un pizzico di filosofia straight-edge. Quello che accade bilancia, in qualche modo, una “normalità” che è vuotamente rassicurante ad un orrore reale che viene abilmente nascosto, che le persone non sanno o non vogliono vedere, chiuse nel proprio ostinato considerare altri aspetti. Esemplare, a tale riguardo, la prima sequenza del film, nel quale viene intervallato l’arrivo degli ospiti svedesi nell’Arca di Noè – con annesso gentilissimo cerimoniale – con il dottor Emil Hobbes che tenta di aggredire una ragazza (Annabelle), la soffoca dopo una colluttazione, le tappa la bocca con del nastro adesivo e la spoglia al solo scopo di estrarre il verme che la tormentava da dentro le viscere. L’idea di base, poi degenerata, avuta dallo scienziato doveva essere quella di realizzare un parassita da immettere nei corpi perchè potesse fare le veci di eventuali organi mancanti (ad esempio nel caso di trapianto di reni). L’abilità dello stesso nell’ottenere finanziamenti per le ricerche – e qui Cronenberg vista la genesi del suo film appare leggermente auto-ironico – aveva permesso di sviluppare l’idea che poi, pero’, era degenerata attraverso i vari rapporti sessuali che la Annabelle uccisa all’inizio aveva avuto.
“Il demone sotto la pelle“, in effetti, è stato creato dall’uomo, e si materializza in alcuni viscidi essere striscianti che si insinuano nel corpo delle persone e le rendono schiave dei propri desideri sessuali. Un’idea molto forte, in forte controtendenza, se vogliamo, rispetto alla nota diffusione del cinema porno che si trovava ad uscire ufficialmente allo scoperto giusto in quel periodo (basti pensare che nel 1972 erano usciti “Gola Profonda” con Linda Lovelace e “Dietro la porta verde” con la Marylin Chambers che poi sarà segnalata a Cronenberg per il successivo “Rabid, sete di sangue“). Gli anni 70 avevano proposto, quindi, una visione liberatoria della socialità, che si esplicava anche attraverso una visione libera del sesso: qui, invece, questa visione certamente attrattiva ed intrigante da un lato (la bella infermiera che viene importunata da uno dei pazienti) e morbosamente orrorifica dall’altro (la stessa donna che possiede un parassita nello stomaco che le esce dalla bocca) fa forse capire il vero motivo per cui il film venne aspramente criticato, tirando in ballo populisticamente il fatto che Cronenberg avesse utilizzato fondi pubblici per finanziare l’opera. Lo slogan lanciato dal giornalista Fulford sembrava, forse, più rivoltante degli stessi vermi rappresentati: “Dovreste sapere quanto faccia schifo questo film, visto che l’avete pagato voi“.
A ben vedere in Shivers, inoltre, esiste più di un parallelismo con quanto raccontato ne “L’invenzione di Morel“, relativamente all’idea dell’isola felice, del (finto) paradiso sulla terra creato dall’uomo per isolarsi dalle angosce quotidiane, che poi finisce per rivelarsi un vuoto contenitore pieno delle stesse angosce che si volevano evitatre, degenerate fino al parossismo. Uno dei migliori film del regista, scientificamente credibile ed accurato, uno dei più interessanti body-horror della storia, sebbene penalizzato da una qualità visiva non perfetta e da un’età che si fa sentire che, soprattutto, indaga su una delle paure probabilmente più diffuse tra gli esseri umani, ovvero quella di ammalarsi di qualcosa di sconosciuto.
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