Anno 1906, Cina: un antropologo inglese riesce a reperire il fossile di un essere preistorico, e decide di portalo via. Molto presto si risveglierà durante il viaggio in treno, seminando il panico tra i passeggeri…
In breve. Originale ibrido di horror e fantascienza ben diretto e ben interpretato, certo assoggettato a ritmi e mezzi dell’epoca. Eccellente la coppia di protagonisti Peter Cushing / Christopher Lee.
Horror Express è interamente ambientato su un treno, collocandosi in una infinita tradizione di genere che presenta questo mezzo di trasporto come ambientazione claustrofobica e limitante per i protagonisti (L’ultimo treno della notte). Di suo, l’idea del fossile alieno che si rianima e semina il terrore passando da un corpo all’altro, è certamente originale per l’epoca in cui il film è uscito, e presenta senza dubbio un che di seminale in termini di horror e fantascienza. Certo La cosa di Carpenter sembra aver tratto più di qualcosa da qui, a cominciare dalla narrazione iniziale – vagamente lovecraftiana – e quel fascino retrò piuttosto tipico per l’epoca; il mostro, che si rivelerà un infido alieno da un’altra galassia, ha la capacità infettare come un parassita i corpi delle vittime. Originale, in tale contesto, la trovata del modus operandi del mostro: gli occhi luminosi che prosciugano letteralmente il cervello delle vittime, facendole sanguinare fino alla morte. Martín mostra in questo un gusto per il macabro ed il proto-splatter considerevole, esplicato soprattutto nelle scene di autopsia e nei primi piani sempre nitidi e visionari.
Senza dubbio le perle in Horror Express non mancano: ad esempio, l’occhio che rivela, come una pellicola fotografica, l’ultima immagine che ha visto prima della morte, esattamente lo stesso espediente pseudo-scientifico contenuto in Quattro mosche di velluto grigio (che pero’, sia detto per dovere di cronaca, era uscito un anno prima di Horror Express). Qui viene espanso arrivando a contenere addirittura l’intera storia dell’umanità dalle origini, mostrando se non altro un coraggio narrativo considerevole nonostante i mezzi limitati. Nonostante questo, il ritmo lascia forse un po’ a desiderare (specie nella prima metà del film), adeguandosi alla media dell’epoca, e rende necessaria la voglia nello spettatore di “sintonizzarsi” con lo spirito vintage. Ciò lo rende, in definitiva, più che altro un cult da riscoprire, ma destinato quasi esclusivamente al pubblico dei più “stregati” dal genere horror.
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