Identità: il thriller definitivo negli anni 2000 di J. Mangold

Dieci estranei si incontrano casualmente in un motel; poco dopo un killer inizia ad uccidere…

In breve. Senza troppi inutili giri di parole, uno dei migliori thriller mai realizzati.

Identità è probabilmente uno dei migliori e più rilevanti thriller usciti agli inizi del nuovo millennio, e questo soprattutto per la sua struttura narrativa: un incastro accattivante in grado di renderlo gradevole sia per il grande pubblico che per i cercatori di film più sui generis. Una perfetta variante sul tema del killer che si nasconde tra i personaggi, come da tradizione argentiana (e non solo), e con un finale a sorpresa come pochi. Se molti elementi narrativi sono derivati dal poliziesco puro, quello legato alla serialità dell’assassino (dal countdown con i numeri delle stanze fino alla sorpresa delle morte del principale sospettato a metà del film) sono archetipici del giallo, in una delle sue migliori declinazioni. Non manca l’aspetto scientifico e psicologico di particolare profondità, che – senza appesantire la trama, ma anzi rinforzandola – contribuisce ad una valutazione ancora più positiva: in pochi hanno notato, ad esempio, la perla del celebre “paradosso del compleanno”.

Un film dalla struttura decisamente originale ed accattivante, che si basa sullo schema di Dieci piccoli indiani di Agatha Cristie ma riesce ad andare molto oltre: viene rielaborato in un thriller oscuro e piovoso, che molti punti di contatto potrebbe avere sia con il genere claustrofobico alla The divide (nei quali nessuno finisce per fidarsi di nessun altro), che stilisticamente con film come Seven di David Fincher. L’inserimento della sessione psichiatrica all’interno della narrazione, comunque, resta il momento più clamoroso di tutto il film.

Un piccolo, e parzialmente sottovalutato, capolavoro del genere.

Chiamami come ti pare…

 

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