John Rambo è un Berretto Verde reduce dal Vietnam, malmenato e incarcerato nella provincia americana: poco dopo, architetta una clamorosa vendetta contro… chiunque.
In breve. L’action movie anni ’80 per eccellenza: una storia che racconta gli orrori della guerra suscitando favori ed entusiasmo del pubblico.
Visti oggi, gli eccessi del primo Rambo rientrano nello spirito da b-movie d’azione che sarebbe divenuto tipico degli anni Ottanta, in compagnia (quantomeno) di Chuck Norris e Steven Seagal. Pura espressione, se ci fosse bisogno di dirlo, della virilità USA che avrebbe entusiasmato tanto pubblico fino ad oggi, e sarebbe stata imitata mediante innumerevoli epigoni, più o meno riusciti.
Se l’immagine del personaggio è quella del soldato invincibile USA (con tutte le ovvie considerazioni in merito), c’è da sottolineare come la sua violenza finisca per essere espressione degli orrori reali commessi dal governo americano (non solo) in Vietnam. Andrebbe tutto bene se non fosse che il pubblico è portato a parteggiare per il protagonista, che è una visuale tipicamente mainstream e pensata per piacere ai più. Del resto sono le conclusioni a fare la differenza: dopo aver attraversato insidie ed orrori di ogni genere, ed essere stato aggredito nonché bombardato (rimanendo ovviamente illeso) da ranger, poliziotti, Guardia Nazionale e dall’insopportabile sceriffo Teasle, Stallone propone un monologo disperato (tutt’altro che banale) al cospetto di Trautman, per cui venne anche molto apprezzato anche dalla critica.
Il suo orrore è di riflesso, nel più classico dei disturbi post-traumatici, poiché rivive le torture subite dai vietcong e critica, peraltro piuttosto apertamente, i “figli dei fiori” che lo insultavano al rientro (a suo dire, senza saperne nulla). Del resto il trauma psicologico è la sua benzina, tanto più che “non è un interruttore che si spegne“, sottolinea il protagonista nei passaggi finali, lasciando un senso di sospensione emblematica che, probabilmente, sarebbe stato molto più profondo e significativo se il film non si fosse diluito negli interminabili Rambo 2, Rambo 3 e via dicendo (parafrasando Mel Brooks, Rambo 5000).
È anche interessante notare che Stallone mise mano alle varie bozze del copione, avendo l’idea di non far morire John alla fine e mettendo sul piatto l’idea di costruirci una saga che sopravvive da quasi quarant’anni (Rambo Last Blood è uscito nel 2019). Peraltro, nella versione DVD commentata, l’attore protagonista pensa al soldato protagonista come ad un Frankenstein sfuggito al controllo del Colonnello Trautman: un mostro, una vera e propria macchina da guerra generata e programmata dagli interessi USA (sono i tempi della guerra in Vietnam) del tutto sfuggita al controllo.
Pochi sanno che tra i candidati al ruolo del protagonista ci fu Al Pacino, che avrebbe comunque interpretato, l’anno successivo, un personaggio in guerra contro il mondo in Scarface, e che qui venne escluso per via della sua richiesta di caratterizzare John come qualcosa in più di uno squilibrato. Peraltro inizialmente il film era stato assegnato a Richard Brooks in regia, che avrebbe pensato a Lee Marvin o Lancaster nella parte dello sceriffo e, cosa non da poco, Bette Davis nella parte di una psichiatra che avrebbe cercato di mediare col protagonista. Ne sarebbe certamente uscito fuori un film differente, cosa che non avvenne mai perchè, alla fine, il progetto venne abbandonato ed assegnato a Kotcheff, che filmò un semplice action movie brutale e senza fronzoli, oltre che totalmente privo di personaggi femminili (l’unica donna che si intravede nel film, per capirci, serve ai tavoli di un bar tipicamente USA).
E c’è di più: oltre a rappresentare quella che in seguito tanta critica avrebbe bollato come “americanata“, Rambo (tratto dal romanzo di David Morrell Primo Sangue – First Blood, al netto di un finale che, al cinema, diventa rassicurante per volontà dell’attore stesso) è per assurdo l’action movie tra i meno credibili mai realizzati, soprattutto per il fatto che era impensabile far sopravvivere John dopo tutto quello che si vede accadere (non è certo un cinema realista, quello di Kotcheff).
Eppure il film è stato girato ed ha avuto un successo inimmaginabile; se un finale tragico sarebbe stato senza dubbio amaro (quanto, forse, più significativo), è proprio nelle conclusioni della storia che si mostrano i veri punti di debolezza dell’impianto. Una storia che procede speditamente e mostra il processo di rivalsa del protagonista, brutalizzato nella civilità in cui non è più in grado di difendersi ma pronto alla vendetta nella giungla in cui si è “fatto le ossa”, ci poteva anche stare, ma renderlo in quei termini fa semplicemente passare una dimensione di intrattenimento (e visto che ci si riferisce ai fatti reali del Vietnam, forse non è il massimo). Le sue parole “scateno una guerra che neanche te l’immagini“, per la cronaca, rientra tra le espressioni cult del film, di quelle che saranno citate indirettamente dal più recente Machete di Robert Rodriguez (mai citare quell’espressione in ufficio al rientro dalle ferie, magari).
È anche interessante come la dimensione selvaggia della foresta finisca per risultare spiazzante per gli antagonisti del feroce soldato, facendo apparire lo sceriffo ed i suoi uomini come un gruppo di imbranati (un leitmotiv mutuato probabilmente dalla fantascienza-horror tradizionale, in cui le rimostranze di chi ha visto il “mostro di turno” vengono regolarmente sbeffeggiate da autorità insulse o violente), senza contare che certe movenze imprevedibili del protagonista sembrano aver ispirato, in chiave sci-fi, film accostabili allo stesso come, ad esempio, Predator.
Insomma se c’è un film per cui è indispensabile accettare e contro-firmare il celebre “patto” tra pubblico e regista, secondo il quale si accetterà di buon grado qualsiasi cosa venga proposta sullo schermo, il Rambo di Kotcheff rientra a pieno diritto in questa definizione.