1972: Andy Brooks è un soldato americano di soli 21 anni, morto durante la guerra in Vietnam; inspiegabilmente riesce a tornare a casa dalla propria famiglia.
In breve. Horror settantiano molto cupo ed incentrato sulle conseguenze della guerra sui soldati che l’hanno vissuta. Clark usa il genere per realizzare un horror dai toni e ritmi tipici per l’epoca, ed inviare un toccante messaggio pacifista.
Nel ricchissimo panorama degli horror a tema morti viventi Dead of night, noto in Italia col titolo “La morte dietro la porta“, è sicuramente uno dei più originali e significativi. Se le variazioni sul tema hanno portato, negli anni, i vari registi a sbizzarrirsi sulle cause della zombificazione (un’epidemia, un esperimento militare segreto e via dicendo), Clark focalizza l’attenzione, per una volta, sugli effetti. Immagina infatti il rientro di un militare americano dal Vietnam, reale teatro di guerra all’epoca del film, dato per morto in battaglia – ma rientrato a casa apparentemente illeso, per quanto dai modi distaccati e stranianti. Se all’inizio è grande la gioia della famiglia nel rivederlo, il suo comportamento sarà percepito in modo sempre più inquietante, fino a fare esplodere tensioni nascoste tra i propri genitori che non riescono a comprenderlo e, quasi, non lo riconoscono più.
Del resto il problema della reintegrazione dei reduci di guerra, affrontato in questa sede mediante il linguaggio dell’horror, sarebbe diventato popolare solo con pellicole come Nato il 4 luglio, di cui Dead of night potrebbe considerarsi una versione orrorifica e premonitrice. Clark ci introduce da subito in un’atmosfera di guerra, tanto che all’inizio vediamo Andy vagare nella giungla tra i commilitoni massacrati, e pare esista un’ulteriore sequenza in cui incontrava per strada un veterano di guerra cieco (scena poi scartata in fase di montaggio).
“Non potrei mai credere che un soldato faccia una cosa del genere”
Veniamo pertanto brutalmente introdotti nell’atmosfera del film, che sarà quasi sempre ambientata nell’oscurità, cupa quanto dal taglio quasi documentaristico: Clark da’ l’impressione di affrontare il tema con distacco, evidenziando i rapporti tra i personaggi e la drammatizzazione estrema della vicenda. La famiglia di Andy, se ci fosse bisogno di dirlo, è il simbolo dell’americano medio, che (guarda caso) cita la guerra promossa dagli Stati Uniti solo di striscio, senza mai approfondirla e, anzi, cercando spesso di deviare il discorso.
La morte dietro la porta è un film cupo e volutamente rallentato, che introduce una nuova figura di zombi (alla ricerca di sangue umano per poter sopravvivere e mantenere il corpo integro), incapace di integrarsi in una società che, di fatto, non lo riconosce più, e non sembra comprenderlo. In questo, pertanto, Andy potrebbe essere accostabile a Bub, lo zombi discriminato e deriso dalla società, creato da Romero nel suo celebre Il giorno degli zombi – film che potrebbe essersi ispirato ai toni di questa pellicola per alcuni aspetti narrativi. Del resto l’aspetto di Andy, che ciondola passivamente su una sedia a dondolo quando non ha voglia di parlare, ed usa occhiali a specchio per nascondere i suoi occhi quasi putrefatti, ha un aspetto da morto vivente che sarà familiare ai fan di Romero, dato che Dead of night è anche il primo film in cui gli effetti speciali siano stati curati da Tom Savini.
Il film è una risposta in chiave pacificista, di fatto, alla retorica patriottica che doveva essere piuttosto in voga all’epoca, negli anni in cui gli USA erano impegnati nella guerra in Vietnam . Del resto l’idea di un soldato ferito a morte che rientra a casa e destabilizza una famiglia quasi surclassa, a livello di potenza inventiva e concettuale, qualsiasi altra idea abbia mai avuto uno zombie movie. E tale denuncia da horror politico si esplicita in almeno due passaggi chiave del film: poco prima che Andy uccida il medico legale amico del padre (“Sono morto per te, Doc: perchè non dovresti restituirmi il favore?“), e soprattutto nello straziante e bellissimo finale al cimitero, in cui il protagonista si fa ricoprire di terra mentre la madre sospira “Andy è a casa: alcuni ragazzi non ci tornano più“.
Il comportamento di Andy, peraltro, con i suoi imprevedibili picchi di aggressività, è stato inquadrato come una vera e propria patologia dalla American Psychiatric Association, nel 1980, ed è noto al giorno d’oggi come disturbo post-traumatico.
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