Izo è un samurai condannato a morire in croce, trafitto da due aguzzini. Un giorno torna in vita sotto forma di spirito-demone, pronto ad uccidere per vendicarsi del genere umano. Izo stermina chiunque si ponga sulla sua strada, prefigurandosi come anti-eroe senza tempo, sia pure con gli occhi lucidi di un triste, combattivo quanto implacabile guerriero.
“Una volta ero umano. La crudeltà è parte della vita…”
In breve. Un corposo saggio di sadismo che rientra nell’horror filosofico: quello che suggerisce messaggi etici, reprimende, allerte morali, politici e sociali ben precise. Izo combatte, infatti, soprattutto contro i Saggi – il trittico determinato da religione, morale e senso del dovere. Un personaggio al di là dell’eroe e dell’anti-eroe, un “detestabile non-sense” capace di creare scompensi nell’ordine costituito di ogni tempo e luogo. Un film impegnativo che potrebbe significativamente cambiare la vostra idea di “cinema colto” come barboso o incomprensibile.
Girato con formato da autentico “film indipendente”, nonchè intervallato da riprese di avvenimenti storici del passato (che citano non a caso Stalin, Hitler e Mussolini) “Izo” è stato realizzato nello stesso anno in cui il regista ha diretto Three… Extremes. Si tratta, senza mezzi termini, di uno dei migliori film di Takashi Miike, per quanto divisivo per pubblico e critica nel più classico dei “si ama o si odia“. Izo siamo noi, contro di noi: perchè non c’è nulla di più brutale del nostro auto-lesionismo come genere umano.
Un film che ama perchè Izo è omnicomprensivo, suggestivo, onirico e spiazzante nella sua brutale vitalità; si odia, probabilmente, per via della sua frammentarietà, per i dettagli non sempre chiariti e che evocano più un videoclip che un lungometraggio. Nel voler raccontare la storia del ritorno di un samurai in varie epoche, al semplice – mai troppo esplicitato – scopo di vendicarsi degli Uomini, il regista realizza un collage creativo e frenetico, oltre che splendidamente montato, che rappresenta una crudele sequenza di immagini cariche di violenza ed altrettanti messaggi sottintesi.
Questi ultimi, in particolare (forse troppi, per un singolo film) sembrano essere improntati (utilizzando lunghi e strazianti dialoghi che rappresentano pienamente il senso dell’opera) al ritrovare, se possibile, un senso tangibile nel dolore che l’uomo prova. In fondo “il dolore è la prova della tua esistenza“, e questo è quanto.
Il tutto, è bene specificare, senza conferire al tutto una trama affatto lineare, senza in altri termini raccontare una vera e propria storia inizio-sviluppo-fine: solo spunti, suggestioni (spesso davvero molto coinvolgenti), ritagli di epoche storiche (e momenti) assai diversi tra loro. Qualcosa che il pubblico di affezionati del regista potrebbe apprezzare (e anche parecchio), ma che finirà inevitabilmente per spiazzare tutti gli altri – con tutto quello che ne consegue.
Per quanto, quindi, non manchino in Izo sequenze a primo impatto poco comprensibili (basti pensare all’arrivo del guerriero in una scuola, oppure alla cerimonia di un matrimonio, letteralmente precipitando da una sequenza all’altra) sembra comunque che la sua aperta “disumanità” non sia altro che il marchio di fabbrica di chi non accetta le convenzioni moderne (ma anche la politica repressiva, la guerra e via dicendo), e venga – per questo motivo – additato come un folle criminale.
Molti sono i momenti significativi all’interno del film, e vale la pena citare almeno i seguenti: la prima delle tre donne con cui Izo dialoga, l’affascinante “Madre Natura”, carica di una sensualità dirompente – al tempo stesso incestuosa – che culmina in un amplesso che evoca una liberazione degli istinti repressi: “Io sono la madre dell’intera umanità… fammi sentire piena di vigoroso sangue, bambino mio!“.
Successivamente la riunione dei Saggi per discutere di questo misterioso demone-guerriero, con il Prelato, il Primo Ministro ed altre autorità, che fanno trasparire una esplicita manìa di repressione dei ribelli e di chiunque non si mostri come “pecora di fattoria” (merita qui di essere riportato che “la costrinzione di dominio e l’oppressione sono operazioni intrinseche nella natura umana“).
Izo, in particolare, viene qui definito come chi “va costantemente contro la nostra aristocrazia“, imponendosi in ogni tempo e luogo come una “rottura sconosciuta ed occasionale che appare nel sistema“.
Non ci sono dubbi, quindi, che Izo rappresenti un’eccezione violenta al conformismo dilagante, tanto accerchiato dalla massa – siano esse donne, uomini, samurai o chiunque altro – quanto capace di sopravvivere coraggiosamente alle più profonde ferite che gli possano provocare. I vampiri in giacca e cravatta (!), inoltre, che invitano al “compromesso” Izo (che in quel momento, da vero guerriero emulo di Friedrich Nietzsche, “si scaglia contro se stesso” con la propria katana) , sembrano voler rappresentare il viscidume che cerca di attecchire chi vorrebbe rimanere fuori dalle righe. Impossibile poi, in questa sequenza interminabile – ma mai realmente noiosa – di scontri e momenti meditativi, non citare la seconda donna, la madre naturale (forse) di Izo, e le altre ragazze che lo assalgono mentre urlano di dolore: il protagonista soffre visibilmente nel farle fuori una ad una, ma questo sembra essere l’unica condizione possibile perchè possa continuare a vagare nel tempo e nello spazio, evocando in qualche modo – e senza voler azzardare troppo – i legami familiari ed affettivi di cui parlava Pavese nei “Fumatori di carta” (“una vita che adopera amore e pieta’, la famiglia, il pezzetto di terra, a legarci le mani“). Troppo per un solo film?
“Colpevole di essere contro la moralità umana, contro dio, colpevole di esistere“: Izo non è certamente una pellicola banale, e rappresenta uno degli zenith creativi di Takashi Miike per quanto, di fatto, a volte ecceda un po’ nelle tempistiche e nell’uso degli effetti visuali: un film che, in altri termini, oscilla su un’insistenza programmatica incentrata sulla vendetta di Izō Okada (un samurai realmente esistito, condannato a morte mediante crocifissione esattamente come vediamo fin dai primi – e truculenti – fotogrammi). Izo si distacca da qualsiasi canone, ed intraprende un cammino autonomo, non sempre immediato da comprendere e, se servisse dirlo, improntato sui consueti eccessi a cui il regista ci ha abituato negli anni. Vendetta da un lato, ma anche rancore dall’altro, che – come viene detto nel film – viene visto come un vero e proprio atto generativo di tutte le vicende umane. Un film profondamente “meditativo”, quindi, con atti di violenza quasi insoliti rispetto agli argomenti trattati, e soprattutto con quella punta di inconfondibile cinismo pulp che delinea quasi tutti i lavori di Miike. Izo, potremmo scrivere ancora meglio, è come un profondo e denso saggio orrorifico su di un “atto universale di vendetta” (si veda Der Todesking, un altro trattato visivo di crudeltà – anche se decisamente più duro – non da parte di un demone verso gli uomini bensì, più materialisticamente, dall’uomo contro se stesso). Di Izo, a mio avviso, appare evidente la natura spiazzante e “sovversiva”, atta a delinare forse uno dei migliori film “simbolisti” e densi di contenuti degli ultimi anni: questo senza gli eccessi che, a volte un po’ frettolosamente, rendono “pesanti” ed oscuri molti dei cosiddetti film indie, un’etichetta di cui è facile abusare quanto rubare le caramelle ad un bambino.
Questi innumerevoli spiragli, riferimenti alla cultura nipponica uniti agli inquietanti – oltre che bellissimi – dialoghi, rendono questo film qualcosa di sostanzialmente unico, pulp, monolitico e sempre a proprio agio sui propri mezzi, in altri termini in pieno stile Takashi Miike. Un lavoro che non tutti gli spettatori riusciranno ad apprezzare ma che, a bene vedere, è forse uno dei più significativi horror degli ultimi anni, anni di rinascita del genere, di conferme, smentite e (speriamo) nuovi accattivanti lavori. Da non perdere, quindi, soprattutto se non disdegnate l’eccesso visivo e credete che sia lecito (o direi quasi doveroso) assegnare al cinema di genere messaggi profondi e significativi.
“Signor Yamada, cos’è l’amore?” “È una parola. Una parola non è necessariamente associabile alla fondamentale natura del suo significato. È un codice di suoni, a volte…” “Puoi parlarci della democrazia?” “La democrazia è un sottoprodotto della civilizzazione umana, un’illusione. Civilizzazione umana correttamente evoluta…” “Signorina Sato, cos’è una nazione?” “Una nazione è una corrotta delusione che esiste solo nella mente umana. È un insieme immaginario di menzogne, che esiste solo per controllare e governare le persone istintivamente raccolte in mandrie”
Ingegnere per passione, consulente per necessità; ho creato Lipercubo.it. – Mastodon