Asteroid city di Wes Anderson è una commedia retrofuturista
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La prima cosa da premettere ad un qualsiasi discorso sensato su Asteroid City (undicesimo lungometraggio del regista Wes Anderson) dovrebbe essere: questo è un film profondamente diverso da The French Dispatch, che poco aveva convinto (a mio modo di vedere, s’intende), perso com’era in mille giravolte, riletture e presunti ribaltamenti di senso. Asteroid city è una storia inventata, puramente fictional, al punto che viene scomodato un presentatore TV anni Cinquanta per ricordarlo al pubblico (che potrebbe ricordare vagamente quello che introduce Plan 9 from outer space).

In uno scenario meta-filmico ben delineato dall’inizio, inizia la storia: vedremo in bianco e nero la parte preparatoria di un documentario incentrato sullo spettacolo teatrale Asteroid city, ovvero (sulle prime) ciò che avviene dietro le quinte, la storia del drammaturgo che sembra essere il protagonista, qualche scampolo delle vite degli interpreti. Si passa poi all’intreccio principale, che vede come protagonista il fotografo di guerra Augie Steenbeck e che viene girato a colori nel vivido stile di Anderson, che inserisce varie trovate retro-futuristiche, a cominciare dall’ambientazione del villaggio volutamente posticcia a finire all’uso del formato Academy ratio per le scene in bianco e nero.

Scampato più volte a circostanze che ne hanno messo la vita a repentaglio, si reca nella Città dell’Asteroide, una immaginaria zona militare posta nel deserto (con forti chiami alle narrazioni mitologiche sull’Area 51 e sul progetto Manhattan). Nella città vive una piccola comunità di famiglie, accomunate dal fatto di avere dei figli dalle spiccate doti intellettuali, in grado di contribuire attivamente ad avvenieristici progetti come un propulsore per vincere la forza di gravità, un proiettore per la superficie lunare (sic), un laser in grado di annientare all’istante e via dicendo. La storia prosegue mostrando la conoscenza tra Augie (rimasto vedovo da poco) e Midge Campbell, un’attrice teatrale dal carattere imprevedibile. Proprio sul teatro e sul piano teatrale si svolge gran parte del mood, sia a livello scenico (tutto l’intreccio è ambientato nel villaggio, ma andrebbe reimmaginato come se fosse su un palcoscenico) che a livello simbolico (i conflitti dei personaggi interpretati sembrano lasciare un’eco sui rispettivi attori / alter ego), ed è questo che rende Asteroid city molto più interessante della media.

Numerosissime le partecipazioni (per lo più fugaci) di vari attori celebri, da Adrien Brody a Edward Norton, passando per  Jeff Goldblum, Steve Carell (un ruolo che avrebbe dovuto essere di Bill Murray, che questa volta non riesce a partecipare per via di un’infezione da Covid-19 al momento delle riprese), Tom Hanks, Willem Dafoe e naturalmente Jason Schwartzman e Scarlett Johansson.

I personaggi di questa undicesima opera andersoniana sono sempre (auto)ironici e sinceri, da tutti traspare un’umanità tangibile e rassicurante, e anche quando i toni della storia diventano vagamente più cupi (l’annuncio della morte della madre, un fato ineluttabile che sembra incombere sulle vite dei singoli) Anderson vira le tonalità sul meta cinema e sull’autoironia, allegerendo i toni quanto basta per far finire il film senza far distrarre nessuno tra il pubblci. Nel farlo, peraltro, evita di fare ciò che avrebbe fatto chiunque (trasformare il film in un minestrone filosofico sputacchiato in faccia allo spettatore) e si concentra sull’andamento della storia, sul suo ritmo, sul suo incendere inesorabile, su ciò che succederà al prossimo passo. La presenza dell’alieno che atterra letteralmente dal nulla, davanti ad un pubblico estasiato o tramortito, è il colpo di teatro definitivo, a cominciare dalla sua curiosissima forma allungata (anche qui debitrice della cultura pop americana e di varie teorie del complotto UFO).

Asteroid city ha anche il merito di saper rispondere alla domanda insidiosa che fine fanno i personaggi di ogni storia dopo che la storia è finita? La risposta, forse, sta in ciò che il pubblico vuole pensare, specie dopo aver visto la morte del drammaturgo (che sembra lasciare tutti i protagonisti “orfani”, un po’ come le tre onnipresenti bambine della storia) e dopo che vediamo Augie partire da Asteroid city alla ricerca di Midge, che ha lasciato solo una casella postale e non sappiamo se si farà ancora trovare o meno.

In definitiva, non c’è dubbio che il film sia molto ben strutturato e sappia giocare in modo leggero (e mai superficiale) con gli stereotipi di cultura pop che il pubblico si immagina debba conoscere;  l’umorismo inglese ed il focus centrato rende il film all’altezza delle aspettative e, in questi casi, non è mai scontato come risultato.

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